LUCA BENCI – Giurista*
PREMESSA: LA LEGGE E IL DECRETO ATTUATIVO
Negli ultimi decenni la società ha assistito a un radicale cambiamento del ruolo delle farmacie e dei farmacisti: da luoghi sanitari e di produzione e confezionamento di prodotti galenici, a luoghi prevalentemente commerciali.
La trasformazione in spazio vendita avente finalità commerciali, come modello tipico delle farmacie, viene messo in crisi dal moltiplicarsi di punti vendita in seguito a processi di liberalizzazione, che hanno portato i supermercati a vendere farmaci da banco e alla nascita delle parafarmacie.
Si pone quindi la necessità di rivedere e riqualificare le farmacie con l’attribuzione di “nuovi servizi”. In questa direzione si muove il D.Lgs. 3 ottobre 2009, n. 153, denominato “Individuazione di nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, nonché disposizioni in materia di indennità di residenza per i titolari di farmacie rurali, a norma dell’articolo 11 della legge 18 giugno 2009, n. 69”.
I nuovi servizi che possono essere assicurati dalle farmacie nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, riguardano “la diretta partecipazione della farmacia al servizio di assistenza domiciliare integrata (A.D.I.)” che avviene attraverso (art. 1, comma 2, lettera a) punti 1), 2) e 3):
1) la dispensazione e la consegna domiciliare di farmaci e dispositivi medici necessari;
2) la preparazione, nonché la dispensazione al domicilio delle miscele per la nutrizione artificiale e dei medicinali antidolorifici, nel rispetto delle relative norme di buona preparazione e di buona pratica di distribuzione dei medicinali e nel rispetto delle prescrizioni e delle limitazioni stabilite dalla vigente normativa;
3) la dispensazione per conto delle strutture sanitarie dei farmaci a distribuzione diretta.
Questi primi tre punti sembrano del tutto coerenti con le finalità proprie di un servizio farmaceutico, contribuendo – in particolare sul punto sub 3) – a risolvere problemi organizzativi che hanno creato e creano agli utenti le difficoltà di organizzazione del servizio.
Il punto 4) – sempre in relazione alla partecipazione delle farmacie al servizio di assistenza domiciliare integrata – pone problematiche maggiori e specifica che all’interno delle farmacie vi possa essere: la messa a disposizione di operatori socio-sanitari, di infermieri e di fisioterapisti, per la effettuazione, a domicilio, di specifiche prestazioni professionali richieste dal medico di famiglia o dal pediatra di libera scelta, fermo restando che le prestazioni infermieristiche o fisioterapiche che possono essere svolte presso la farmacia, sono limitate a quelle di cui alla lettera d) e alle ulteriori prestazioni, necessarie allo svolgimento dei nuovi compiti delle farmacie, individuate con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Non vi sono dubbi che questa sia una novità rilevante, anche se di non semplice attuazione e di non semplice raccordo, rispetto alla assistenza domiciliare integrata erogata direttamente dal Servizio sanitario nazionale attraverso le sue strutture direttamente o indirettamente a seconda dell’organizzazione regionale. Tra l’altro, nella gran parte delle regioni, il territorio è suddiviso in distretti socio sanitari che hanno precisi riferimenti territoriali di competenza. Nel D. Lgs 153/2009 si introduce invece un difficilissimo riparto territoriale di pazienti “residenti o domiciliati nel territorio della sede di pertinenza di ciascuna farmacia”. Quindi all’interno di un distretto socio sanitario si dovrebbe suddividere il territorio per il numero di farmacie presenti e determinarne l’ambito territoriale. Non sembra una disposizione praticabile in molti contesti.
Le prestazioni che possono essere svolte presso la farmacia però “sono limitate a quelle della lettera d)” che andiamo a riportare per esteso: “la erogazione di servizi di secondo livello rivolti ai singoli assistiti, in coerenza con le linee guida ed i percorsi diagnostico-terapeutici previsti per le specifiche patologie, su prescrizione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, anche avvalendosi di personale infermieristico, prevedendo anche l’inserimento delle farmacie tra i punti forniti di defibrillatori semiautomatici”.
La norma è decisamente criptica e oscura. Si introduce una distinzione – in realtà non conosciuta – tra servizi di primo e servizi di secondo livello decisamente di difficile comprensione.
La legge distingue, in realtà, tra le prestazioni erogabili in farmacia e le prestazioni erogabili a domicilio. Le prime sono curiosamente, a una prima lettura, maggiormente “limitate” rispetto a quelle erogabili a domicilio. Questa interpretazione meramente letterale, contrasta con l’impostazione classica che viene data alle prestazioni erogabili nelle strutture che sono, in genere, più ampie in quanto è proprio la sicurezza della struttura a permettere tali prestazioni rispetto al non luogo sanitario caratterizzato dal domicilio dell’utente. In realtà l’interpretazione che è passata – quanto meno in questa fase – è quella relativa alla erogazione a domicilio di prestazioni “mutuabili” dal Servizio sanitario nazionale, mentre presso la farmacia diventano a carico dell’utente se non convenzionate con il Servizio sanitario nazionale.
Il previsto decreto attuativo è stato regolarmente emanato – D.M. 16 dicembre 2010 “Erogazione da parte delle farmacie di specifiche prestazioni professionali” – e per quanto di competenza del fisioterapista segnaliamo alcuni punti di rilievo.
All’art. 1 di tale decreto si specifica che il fisioterapista agisce nel “rispetto dei propri profili professionali, con il coordinamento organizzativo e gestionale del farmacista titolare o direttore”. Questa norma può creare problemi all’autonomia del farmacista nella parte in cui tale autonomia è stata riconosciuta dalle leggi di riforma dell’esercizio professionale, a meno che il coordinamento organizzativo e gestionale venga interpretato in modo restrittivo come mero coordinamento operativo.
Data l’importanza, invece, riportiamo per esteso l’art. 4 del decreto denominato “prestazioni erogabili dai fisioterapisti”.
Art. 4
Prestazioni erogabili dai fisioterapisti
1. Su prescrizione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, alle condizioni di cui all’art. 2, il fisioterapista può erogare all’interno della farmacia ed a domicilio del paziente, e nei limiti di cui al decreto del Ministro della sanità n. 741 del 1994, le seguenti prestazioni professionali:
a) definizione del programma prestazionale per gli aspetti di propria competenza, volto alla prevenzione, all’individuazione ed al superamento del bisogno riabilitativo;
b) attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psico motorie e cognitive e viscerali utilizzando terapie manuali, massoterapiche ed occupazionali;
c) verifica delle rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.
2. La farmacia, nell’erogazione delle prestazioni di cui al comma 1, deve rispettare tutti gli specifici requisiti relativi ai settori professionali, sanitari e tecnico-strutturali previsti per lo svolgimento delle attività di cui al comma 1 dalla normativa statale, regionale e comunale vigente, nell’ambito dei precedenti settori.
Volendo effettuare una comparazione con il profilo professionale del Fisioterapista, possiamo operare alcun sottolineature:
a) si specifica che i prescrittori sono “medici di medicina generale” e “pediatri di libera scelta”, mentre nel profilo viene indicato solo “medico”. In entrambi non viene mai nominato il fisiatra;
b) si specifica che al fisioterapista compete la definizione del “programma prestazionale” mentre, come è noto, il profilo parla di “programma di riabilitazione”.
Il resto è sostanzialmente sovrapponibile al profilo professionale.
LA SENTENZA DEL TAR DEL LAZIO
La Simfer si è rivolta al Tar del Lazio deducendo l’illegittimità del decreto attuativo sotto molteplici profili. Ne evidenziamo due:
a) l’immissione di fisioterapisti in farmacia determinerebbe la trasformazione della farmacia in ambulatorio o in un poliambulatorio, senza le necessarie autorizzazioni e senza i necessari controlli;
b) in tali luoghi deve essere prevista necessariamente la figura del medico specialista, o quanto meno il “costante controllo” in tutti i luoghi dove il fisioterapista svolge la propria attività professionale, sia in farmacia che a domicilio.
Non del tutto esattamente il Tar specifica che le prestazioni del fisioterapista in farmacia possono avvenire nel concorso di tre condizioni: che si tratti di prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale, che siano prescritte dal medico di medicina generale e che tali prestazioni rientrino nelle competenze del profilo professionale del fisioterapista. Il primo punto è parzialmente vero, in quanto è la stessa legge ad aprire a prestazioni a pagamento nel momento in cui precisa “eventuali prestazioni e funzioni assistenziali al di fuori dei limiti di spesa indicati dagli accordi regionali sono a carico del cittadino che le ha richieste”.
Nel merito, secondo l’associazione dei fisiatri ricorrente, si chiede l’annullamento della parte del decreto che non prevede la presenza costante del medico specialista durante le prestazioni erogate dai fisioterapisti. Correttamente il Tar del Lazio ricorda che l’annullamento di un atto amministrativo può avvenire solo in presenza di norme giuridiche di carattere superiore e che devono essere indicate nel ricorso (e che non sono state allegate). Non sono state allegate “per la semplice ragione che non esistono”. Prosegue la motivazione della sentenza del giudice amministrativo che: “non esiste infatti una norma che imponga al fisioterapista, allorché eroga prestazioni rientranti nella propria competenza, di agire alla presenza o quanto meno sotto il controllo dello specialista”.
Rettamente, affermano i giudici amministrativi, che non sussiste l’obbligo, nell’ordinamento giuridico italiano, di norme invocate, così anacronistiche da essere tali anche nel periodo pre-riforma legge 23 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”. Un simile obbligo era inesistente anche qualche decennio orsono. Evitiamo di citare anche altre norme che hanno conferito autonomia a tutto il settore delle professioni sanitarie perché, a questo punto, decisamente sovrabbondanti. Quali siano i motivi che hanno spinto la Simfer a un ricorso al giudice amministrativo così palesemente suicida non è dato capire. Possiamo capire (pur non condividendola) la richiesta – tutta di politica professionale – tendente ad affermare una centralità medico-specialistica nel settore della riabilitazione, che nei servizi, di fatto, diventa sempre meno centrale, ma la presenza diretta della specialista alle attività di riabilitazione dimostra una miopia politico-istituzionale fuori dal normale.
Il giudice amministrativo si è trovato costretto, in modo assolutamente didascalico, a spiegare ai ricorrenti il ruolo del medico di medicina generale all’interno del sistema prescrittivo del Servizio sanitario nazionale. Spetta a lui l’attivazione dello specialista, quando ritiene che dello specialista ci sia bisogno all’interno di un qualsivoglia tipo di percorso diagnostico-terapeutico. Altrimenti provvede direttamente attivando le relative professionalità
Nel percorso previsto dalla “farmacia dei servizi”, ci ricorda il Tar del Lazio, il medico specialista (fisiatra) “è del tutto estraneo alla vicenda” come del resto può esserlo in molti percorsi in cui non è richiesta la sua professionalità. Piuttosto possono essere messe in discussione molte prassi presenti in alcune organizzazioni, che hanno costruito il ruolo del fisiatra come centrale all’interno dei percorsi, indipendentemente dalla necessità del suo apporto professionale. Un ruolo aggiuntivo, costruito talvolta artificiosamente in modo surrettizio, teso a creare un modello di organizzazione che ha più l’obiettivo di creare un ruolo al fisiatra, che non a rispondere ai bisogni del cittadino-utente.
L’associazione dei fisiatri sembra richiedere la riproposizione di questo modello ai giudici amministrativi, che però respingono il modello spesso instaurato, in via di prassi o amministrativa, in molte strutture. Il medico specialista, sottolinea il Tar del Lazio, non ha “alcun titolo a imporre la sua presenza” laddove altri professionisti – in questo caso i medici di medicina generale – possono fronteggiare da soli. Duplicare le figure mediche, in questo caso, come del resto, in altri casi, comporta solo un dispendio per l’erario che non può essere giustificato soltanto “per assicurare nuove occasioni di lavoro allo specialista in riabilitazione”. Le ragioni addotte dai fisiatri, chiosa il giudice amministrativo, “trascurano i dati fondamentali del sistema e sollevano problematiche del tutto ininfluenti rispetto all’obiettivo perseguito”. Affermazione del tutto condivisibile, che dovrebbe assurgere a principio generale di funzionamento del sistema e che spesso, invece, viene violato.
Altro principio fissato dalla sentenza in esame, è relativo alla supposta sovrapponibilità delle funzioni del fisioterapista rispetto a quelle del fisiatra, che il Tar correttamente evidenzia come diverse, arrivando ad affermare, anche duramente, che “sulla base di un calcolo di convenienza economica, lo specialista svolga nel suo studio o nell’ambulatorio, medico nel quale presa servizio anche le minori prestazioni e che la normativa vigente assegna ai fisioterapisti e che non richiedono il bagaglio di conoscenze ed esperienze professionali del fisiatra, è questione ininfluente in sede di verifica della legittimità della norma in esame”. Ammonisce quindi il giudice amministrativo che se il fisiatra, di fatto, vuol invadere il campo del fisioterapista, non può invocare misure a sua protezione per meri “calcoli di convenienza economica”.
Ancora più risibile, infine, è la richiesta di trasformare la farmacia in un ambulatorio con tanto di direzione sanitaria da affidarsi a un fisiatra. Questo argomento, definito nella sentenza “di ancor minore consistenza” è “privo di qualsiasi dimostrazione di fatto e di diritto” in quanto, nota il Tar, se l’elemento rilevante per l’assegnazione di direttore sanitario dell’ambulatorio è la specializzazione, bisognerebbe provvedere alla nomina di tanti direttori sanitari quante sono le materie specialistiche in esso trattate”. Argomento, dunque, pretestuoso anche questo.
E’ una sentenza importante, perché costruisce correttamente in primo luogo il rapporto tra medico generico e medico specialista e in secondo luogo il rapporto tra prescrizione medica e intervento del fisioterapista.
Nella prima parte la sentenza è ineccepibile e chiarissima, soprattutto dove conclude che il legislatore non può imporre, all’utente e all’organizzazione, il ricorso allo specialista laddove il medico di medicina generale sia in grado di risolvere i problemi di salute del paziente (in questo caso attivando il fisioterapista).
Nella seconda parte la sentenza è decisamente meno approfondita, ma il rapporto tra prescrizione medica e fisioterapista non era l’oggetto principale del ricorso.
La bella sentenza del Tar riguarda una legge e un decreto sulla farmacia dei servizi che, in verità non brillano né per chiarezza, né per logicità, né per completezza.
Tra i nodi irrisolti e non più rinviabili ne sottolineiamo uno: l’accesso diretto al fisioterapista da parte dell’utente con costi a carico del Servizio sanitario nazionale.
* Esperto di Diritto Sanitario e delle Professioni Sanitarie.
Articolo pubblicato sul numero di marzo/aprile 2012 di “Riabilitazione Oggi”