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Il dolore: un fenomeno strano (di Paul Ingraham, MT, Vancouver, Canada)

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Presentazione e note su Paul Ingraham

Il dolore: un fenomeno strano

La scienza del dolore ce lo presenta come un fenomeno facilmente innescabile, che spesso è più di un sintomo e talvolta è ben peggio dello stimolo che lo ha provocato.

di PAUL INGRAHAM

Traduzione a cura di Gianantonio Spagnolin – Dottore in Fisioterapia
Unità Spinale di Sondalo (SO) – Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) della Valtellina e dell’Alto Lario

Aggiornato il 18 novembre 2016

Da Paul Ingraham, Vancouver, Canadabio

Titolo originale: Pain is weird

Postato il 10 settembre 2017

 

Il dolore non è semplicemente un messaggio dai tessuti danneggiati che noi dobbiamo prendere per buono così com’è, ma un’esperienza complessa che è profondamente modulata dal cervello. I fatti in merito sono spesso strani e controintuitivi, un po’ come la fisica quantistica, ma la scienza parla chiaro: ogni sensazione dolorosa è “made in cervello®” al 100%, e non esiste dolore senza intervento del cervello.

Questo vuol dire che possiamo annullare a piacimento la sensazione del dolore? Quanto potere ha la mente sul dolore? Infondere fiducia e istruire il paziente possono essere una cura?

Di articoli su questo argomento oggi se ne trovano tanti, ma la maggior parte di essi ingannano i lettori con l’allettante idea che il dolore può essere trattato con la forza della mente … senza però spiegare come.

In questo articolo, sarò specifico in merito a cosa è realistico e praticabile del detto “è la mente che controlla il dolore”. Ci sono cattive notizie ma ce ne sono anche di buone, se capiamo come il dolore funziona effettivamente1. Molte scoperte di fisiologia del dolore2,3 ci hanno messo un sacco di tempo a raggiungere non solo il grande pubblico, ma anche gli operatori sanitari. Ma questa è informazione utile, e deve essere condivisa.

Anzitutto dobbiamo smettere di pensare che ogni dolore abbia una sola causa e una sola cura: “dipende tutto da __, lo so bene”. Quasi mai è così4 Il dolore cronico non è un segnale attendibile di quello che sta effettivamente succedendo. Il dolore cronico è un minestrone con diversi ingredienti, complicato per natura (e non per un caso sfortunato). Come minimo, il dolore ha sempre uno strato di complessità prodotto dal cervello. Nei casi peggiori, il sistema del dolore può funzionare male in tanti modi variegati, causando una sofferenza che è molto più intensa e complicata di un semplice sintomo: talvolta il problema è il dolore stesso, non ciò che lo ha provocato.

 

La biologia del dolore non è mai semplice, anche quando sembra esserlo.

Lorimer Moseley, “Reconceptualising pain according to modern pain science”


Una delle principali qualità del dolore è che esige una spiegazione.

Anne Carson, Plainwater


La percezione è la migliore lettura che il cervello può fare di quello che sta succedendo nel mondo. (compreso il corpo, n.d.t.). La percezione è interpretazione.

Atul Gawande, Scratching an itch through the scalp to the brain

 

Due ottimi video sull’argomento

Questo video breve e ben fatto, sintetizza molti dei punti chiave di questo articolo. Ho qualche osservazione cavillosa riguardo ai consigli che dà, ma sono pignolerie di cui diremo più avanti.

Understanding Pain and what to do about it in less than five minutes  5:00

(Capire il dolore e come affrontarlo in meno di 5 minuti)

 

Un altro video “riassuntivo” di tipo diverso: un TED talk molto divertente, che parla di neurobiologia del dolore partendo dal morso di un serpente. È comico, come un cabaret! Lorimer Moseley, australiano, professore di neuroscienze cliniche e instancabile studioso del dolore, è uno dei più bravi docenti che abbia mai conosciuto: guardare il video è un must per ogni persona con dolore cronico e per ogni operatore che se ne occupa.

 

Why Things Hurt  14:33

(Perché le cose fanno male)

 

L’ottima frase di Ramachandran

Vedi anche: attacco dei neutrofili! Il nostro sistema immunitario attacca inutilmente i nostri stessi tessuti ogni volta che c’è una lesione interna.

Si veda Why Does Pain Hurt? (Perché il dolore fa così male?)

 

Ramachandran ha detto che “il dolore è un’opinione”, il che suona come un’inconsistente teoria New Age del tipo “lo spirito è sopra la materia”. Ma Ramachandran non è un mistico né un guru: è un neurologo e uno scienziato. Il passaggio che segue è noto soprattutto per le prime parole, un conciso estratto di quanto oggi sappiamo su come funziona il dolore:

.Il dolore è un’opinione sullo stato di salute dell’organismo, non una semplice risposta riflessa a una lesione. Non c’è una linea diretta fra recettori del dolore e “centri del dolore” nel cervello. C’è così tanta interazione fra diverse aree cerebrali, come quelle relative alla vista e al tatto, che il solo apparire di un pugno che si apre può riflettersi sulle vie sensitive e motorie consentendo al paziente di sentire che la sua mano fantasma chiusa a pugno si rilascia, consentendogli di eliminare un dolore illusorio di una mano inesistente…

La mirror therapy del dolore all’arto fantasma è uno degli aneddoti

più curiosi della medicina del dolore. Di tutta la medicina, di fatto.

 

A questo punto, egli narra la storia di una guarigione straordinaria di un uomo con un dolore a un arto fantasma, un uomo letteralmente torturato da una mano spasmodicamente chiusa a pugno che non c’era più. Con un’astuta disposizione di specchi, Ramachandran creò l’illusione che l’arto amputato dell’uomo fosse ripristinato – una specie di “braccio virtuale”. La sola parvenza della mano fantasma che si apriva e chiudeva normalmente curò i suoi atroci “spasmi”. Si sentì meglio perché fu illuso che stesse meglio. La cura del dolore all’arto fantasma con gli specchi è uno degli aneddoti più avvincenti della medicina del dolore. Di tutta la medicina, di fatto.

Da allora, la mirror therapy è stata studiata ed applicata in molti modi. Uno studio di buona qualità del 2007 ha mostrato che gli specchi non sono affatto necessari per ottenere questo effetto5. la mirror therapy è probabilmente un modo divertente per visualizzare un movimento – il che è fattibilissimo anche senza specchi6.

Ancora più strani sono i racconti di forti dolori in assenza di danno, che ci mostrano come il dolore possa anche essere esclusivamente mentale (a “rigore di neurologia”, lo è sempre). Uno dei più curiosi di questi racconti si legge in un numero del British Medical Journal del 1995:

….Un muratore di 29 anni arrivò al pronto soccorso dopo essere atterrato con un piede su un chiodo di 15 cm. Poiché il benché minimo movimento del chiodo gli causava dolori atroci, fu abbondantemente sedato. Il chiodo venne quindi tolto da sotto. Quando venne tolta la scarpa, sembrò che fosse avvenuta una guarigione miracolosa: nonostante il chiodo avesse forato la scarpa, era penetrato fra due dita: il piede era completamente indenne.

JP Fisher, senior house officer, DT Hassan, senior registrar, N O’Connor, registrar, accident and emergency department, Leicester Royal Infirmary7

Vedi in appendice altri esempi di dolori “strani”

Il suo dolore era dovuto all’effetto nocebo – l’opposto del più noto effetto placebo8. Esempi così clamorosi sono rari, ma probabilmente non così straordinari come si potrebbe pensare. Per venire a faccende più concrete: per un caso come questo ce ne sono probabilmente centinaia in cui il danno esiste davvero, ma il paziente è convinto che sia molto peggio di quanto in realtà non sia – e quindi soffre un dolore molto più grande del dovuto. Fortunatamente esiste anche il caso opposto, quando il paziente è convinto che il danno sia molto più lieve del reale e quindi sente molto meno male del dovuto.

Danno anatomico e dolore non vanno insieme. Eppure questo è esattamente quello che tutti abbiamo pensato per tanto, tento tempo. E molti operatori, sebbene lo dovrebbero sapere meglio dell’uomo della strada, spesso sembrano dimenticare quanto potentemente il dolore è influenzato dalla idea che il paziente ha del suo danno.

 

La percezione della percezione del dolore nei tempi passati (e in quelli non poi così passati)

Per gran parte della storia della medicina, si è creduto che il dolore fosse quello che Cartesio pensava: un semplice sistema di segnalazione.

  1. Si produce un danno anatomico

  2. I nervi mandano un segnale chiaro al cervello riguardo al danno. L’intensità del segnale è direttamente proporzionale all’entità del danno.

  3. Il cervello interpreta il messaggio alla lettera: cioè, se il messaggio dice “qui c’è una brutta lesione”, noi ci crediamo.

Basandoci su questo modello, quasi tutti – ancora oggi, nel 2016 – crediamo che qualsiasi messaggio inviato al cervello mediante un certo tipo di fibre nervose provochi regolarmente dolore. Gli operatori sanitari ai quattro angoli della terra credono ancora che il nervo “mandi dolore”, e quindi questi nervi sono abitualmente definiti “dolorifici” e i loro messaggi sono detti “dolorifici”: l’identità fra segnale nervoso e dolore è quindi racchiusa nel linguaggio stesso. Ma questo è sbagliato! Ed è ben peggio di una ipersemplificazione.

 

….L’aver etichettato i nocicettori “fibre del dolore” non è stata un’ammirevole semplificazione, ma una sciagurata leggerezza travestita da semplificazione.

The relationship of perceived pain to afferent nerve impulses, Patrick Wall e SB McMahon, 254–255

Dolore allucinatorio. Il dolore acuto di solito si correla bene col danno anatomico (anche se danni devastanti possono essere sorprendentemente indolori, in determinati contesti). Quando il dolore diventa cronico, il legame si fa più tenue e in alcuni casi si rompe del tutto. Per esempio, in caso di grave sensibilizzazione centrale, il dolore cessa di avere qualsiasi cosa a che fare col danno anatomico. Si parla allora di dolore allucinatorio.

Da qualche decennio in qua, gli scienziati che si occupano di dolore ed i neurologi sanno che questo modello è irrimediabilmente inaccurato. Infatti, lo chiamano la visione ingenua9! Perfino i vermi microscopici con due soli nervi “segnalatori di problemi” – noi ne abbiamo miliardi – hanno un’esperienza del dolore più ricca di quella della “visione ingenua”: il loro dolore è “un’opinione”, un’esperienza interpretata, con una sorprendente sensibilità al contesto10. E naturalmente è biologicamente sensata: il dolore è chiaramente un’esperienza più utile se è “intelligente”.

Quindi il modo in cui funziona il dolore è più complesso, interessante e in qualche modo utile. Un nervo non dovrebbe mai essere etichettato “del dolore”. Non segnala “dolore”. Esso semplicemente rileva un qualche tipo di variazione (stimolo) nel tessuto … ed è il cervello a decidere cosa farsene, come sentirsi, e se e come agire in risposta allo stimolo.

 

Quello che sale, deve scendere

Il dolore è meno doloroso quando sappiamo che siamo al sicuro. Questo è stato dimostrato agli albori degli studi sul dolore, in un famoso studio condotto su soldati feriti della II guerra mondiale, che mostravano sorprendentemente poco dolore in rapporto alla gravità delle ferite: probabilmente perché erano molto contenti di allontanarsi dal campo di battaglia11. Da allora, i ricercatori hanno cercato di capire cosa succede effettivamente. Sebbene molte domande restano inevase, oggi ci sembra di avere perlomeno una prima idea di come funziona il dolore.

Il cervello non è soltanto un ricevitore passivo e credulone di qualsiasi messaggio i nervi periferici gli inviano. E, a ben pensarci, è strano che ce lo siamo raffigurato così: dopotutto stiamo parlando del cervello: la sede della coscienza, il generatore del pensiero. Il cervello valuta criticamente ogni messaggio di pericolo che riceve, lo considera nel contesto, gli prende le misure prima di decidere se prenderlo seriamente o meno.

….Una volta che il messaggio di pericolo raggiunge il cervello, esso deve rispondere a una domanda molto importante: “quanto pericoloso è realmente?” Per rispondere, il cervello attinge a ogni briciola di informazione credibile: precedente esposizione allo stesso stimolo, influenze culturali, conoscenze, altri stimoli sensoriali disponibili; la lista è infinita.

Pain really is in the mind, but not in the way you think, Moseley (TheConversation.com)

Come se la faccenda non fosse abbastanza complicata, una volta che il cervello ha deciso, manda anche messaggi verso il basso per influenzare la sensibilità e il comportamento dei nervi12. Così ogni cosa che fa male implica una conversazione, una specie di dibattito fra sistema nervoso centrale e periferico. Che potrebbe essere sceneggiato in questo modo:

NERVI: Problemi qui! Problemi grossi! Allarme rosso!

CERVELLO: Va là? Prendo nota. Ma sai cosa? Ho accesso a notizie – scusami, sono informazioni catalogate, devi soltanto credermi sulla parola e non pretendere spiegazioni – che suggeriscono di non preoccuparci molto.

NERVI: Ti dico che è una minaccia seria!

CERVELLO: Niente da fare, non la bevo.

NERVI: Guarda, non avrò accesso a queste “informazioni” di cui parli sempre, ma riconosco il danno dei tessuti e non sto scherzando, è una minaccia credibile e continuerò a dirtelo.

CERVELLO: Stai facendo fatica a ricordare qual è il problema. Mi manderai più pochi messaggi per un po’. Inoltre, non sono i droidi che stai cercando.

NERVI: Oh, bene. Cosa stavo dicendo? Cribbio, un secondo fa mi sembrava di avere qualcosa di importante da dirti, e non me lo ricordo più. Credo che ci risentiremo più tardi.

Il cervello può comandare i nervi, dire a loro quanto sensibili devono essere. Quando è preoccupato, il cervello può richiedere “più informazioni” ai nervi periferici, ordinandogli di produrre più segnali in risposta a stimoli più bassi. Oppure può succedere l’esatto opposto. Ci sono abbondanti prove che i nervi possono cambiare i loro connotati fisici e chimici, forse in risposta a richieste del cervello, alle condizioni dei tessuti, o a entrambe. Per estendere l’analogia, questo non è solo girare la manopola del volume, ma anche cambiare gli attrezzi, cambiare il segnale prima che arrivi all’“amplificatore”.

foto-1-dolore

Il cervello può amplificare il segnale, ridurlo … o anche dire ai nervi quanta parte del segnale far salire al cervello.

La sensibilità dei nervi può essere regolata dal cervello e/o dalle condizioni del tessuto.

Anche la struttura dei nervi può cambiare….e in effetti cambia.

 

In breve, i messaggi relativi al dolore non vanno solo in su verso il cervello, ma anche in giù, dal cervello ai nervi periferici. La scoperta di questa “comunicazione a due vie“ è stato il passo che più ha differenziato la moderna medicina del dolore dalle vecchie concezioni.

Ma probabilmente la modulazione è in gran parte centrale: percepiamo solo quello che il nostro cervello ci permette di percepire. Anche messaggi “di alto volume” possono essere abbassati quasi a zero dal sistema nervoso centrale … o, al contrario, messaggi sensoriali “tranquilli” possono essere amplificati. La qualità e l’intensità dell’esperienza finale è chiaramente il prodotto di un complesso insieme di filtri neurologici.

Forse molti pazienti trattati come se avessero lesioni o malattie dei nervi, hanno invece patologie che potrebbero essere definite sindromi sensitive. Quando una spia sul cruscotto della tua auto dice che c’è un’avaria al motore, ma il meccanico non trova alcun guasto, il problema è del sistema di segnalazione. Questo vale anche per gli uomini. Le nostre sensazioni di dolore, prurito, nausea e fatica, normalmente sono protettive. Sganciate dalla realtà fisica, tuttavia, diventano un incubo: centinaia di migliaia di persone nei soli Stati Uniti soffrono per condizioni come lombalgie croniche, fibromialgia, dolori pelvici cronici, tinnito, disordini temporo-mandibolari o lesioni da sforzo ripetuto: problemi dove, tipicamente, l’abbondanza di diagnostica per immagini, esami neurodiagnostici e chirurgie non riesce a trovare una spiegazione anatomica. I medici hanno insistito nel trattare queste condizioni come frutto di danni anatomici – come se fossero danni al motore, appunto. Ci mettiamo sotto il cofano e togliamo questo, sostituiamo quello, tagliamo qualche cavo. Però il sensore continua a segnare rosso.

Così diventiamo frustrati. “Non c’è niente di patologico”, insistiamo a dire. E, evidentemente, insistiamo a trattare l’autista invece del problema.

Atul Gawande, Scratching an itch through the scalp to the brain


Spiegare il dolore: miti e convinzioni errate

Molti mesi fa ho cominciato a cercare di capire e spiegare il dolore, lavorando a questo articolo, e mentre ci lavoravo ero solo vagamente consapevole di riportare alcune idee “mature”. Sapevo che la moderna scienza e medicina del dolore hanno radici profonde, con intuizioni e ricerche risalenti agli anni ’60, alla teoria del cancello di Melzack e alla terapia cognitivo-comportamentale, ma la mia comprensione era misteriosamente simile ad un recente e conosciuto “pacchetto” scientifico conosciuto come “Spiegare il dolore” (Explain Pain: EP), messo a punto da Lorimer Moseley e David Butler: “uno spettro di interventi educazionali che hanno lo scopo di cambiare l’idea che il paziente ha dei processi biologici che si pensano alla base del dolore, al fine di ridurre il dolore stesso13.” C’è un libro con lo stesso titoloSpiegare il dolore – e molte altre interpretazioni e divagazioni sulle idee chiave (come questo articolo). Non ho inventato da me la mia personale versione di Explain Pain, stavo solo cercando di spiegare il dolore, sapete? Non voglio darmi arie!

Secondo il dr. Moseley, spiegare il dolore significa “cercare di far capire alle persone come e perché possono soffrire un terribile dolore senza essere in terribile pericolo.” Secondo me, spiegare il dolore potrebbe contribuire ad alleviarlo, ma, anche se non dà uno straccio di beneficio, è comunque affascinante.

Ci sono stati anche parecchi malintesi. Perché spiegare il dolore è piuttosto difficile. (E ci sono ancora un sacco di domande scientifiche senza risposta.) È perché Explain Pain (EP) come “marchio” potrebbe essere partito troppo forte, ricevendo troppo credito, da troppe persone, e troppo presto: specialmente l’idea che può effettivamente ridurre il dolore, che resta una pura ipotesi. Ecco, per la cronaca, alcuni malintesi fondamentali circa EP

  • EP non tratta di come curare o gestire il dolore. Quello è un altro (importante) paio di maniche.

  • Non tratta solo il dolore cronico. Anche quello acuto chiede spiegazioni.

  • EP non incoraggia le persone a muoversi nonostante il dolore. Piuttosto, cerca di insegnare che il dolore è spesso “iperprotettivo”. Il fatto che il cervello si preoccupi troppo non vuol dire che si stia sbagliando.

  • Non tratta della regolazione dei “messaggi di dolore” o “segnali di dolore”, perché non esistono cose del genere. Tratta della regolazione dei messaggi di pericolo e di come solo il cervello possa amplificare o silenziare il dolore.

  • Il punto non è rassicurare la gente che il dolore è “solo” una percezione e non è reale (pessima idea). Piuttosto, cerca di rassicurare la gente che il pericolo implicato dal dolore potrebbe essere esagerato.

  • Molte persone sembrano pensare che EP ignori la biologia e i fattori biomedici e strutturali nel dolore. Niente affatto: il punto fondamentale nello spiegare il dolore è spiegare che c’è una relazione complessa fra queste cose e il dolore. Il danno ai tessuti è reale, e il dolore che ne origina è reale, … ma il rapporto fra loro è complesso14.

  • Non tratta solo di sensibilizzazione centrale (per la quale non c’è cura conosciuta). La sensibilizzazione è un tema importante, ma è importante spiegare anche il dolore non sensibilizzato15. E il movimento di Explain Pain è in effetti abbastanza ottimista (forse anche troppo) riguardo all’idea che imparare come stanno le cose possa di per sé modificare il dolore, anche quando è prodotto da sensibilizzazione.

 

Il danno ai tessuti è reale, e il dolore che ne origina è reale.

Ma i due hanno “una relazione complessa”

 

Ma la madre di tutti i malintesi è la diffusa idea che se il dolore è prodotto dal cervello, allora possiamo eliminarlo facendo a meno di pensarci. È un tema così importante e difficile che vi dedichiamo quasi tutto il resto di questo articolo.

 

Possiamo liberarci dal dolore con la forza della mente?

Se tutto questo è vero, … e lo è16 …,

 

Nel 100% dei casi, il dolore è una costruzione del cervello.

Lorimer Moseley, dal suo divertentissimo TED talk, Why Things Hurt  14:33

 

vuol dire che possiamo liberarci del dolore con la forza della mente? Se il cervello può costruire il dolore, allora può anche demolirlo? Sì e no, poiché, come spiega il dr. Moseley, “il dolore è davvero nella testa, ma non nel senso in cui lo intendiamo17.” È una notizia buona e cattiva nello stesso tempo. Cominciamo a fare i conti con le notizie cattive.

Il dolore è un motivatore: esiste per indurci ad agire. Sentiamo dolore quando il nostro cervello reputa che stiamo facendo qualcosa che ci danneggia e che quindi dobbiamo smettere o farlo in modo diverso, per la nostra sicurezza, … ma la sicurezza non sempre è possibile. Il pericolo non è sempre di origine chiara, ne è sempre evitabile.

E il cervello si preoccupa troppo: dalla pipita alla fibromialgia, sopravvaluta il pericolo.

E il cervello non può essere manipolato semplicemente con la forza di volontà, gli auspici o un atteggiamento positivo coltivato con cura. Il cervello controlla potentemente ma non perfettamente il modo in cui esperiamo stimoli potenzialmente minacciosi, ma purtroppo il cervello non è sotto il nostro controllo. La nostra opinione sui segnali di allarme non conta: quello che conta è come il cervello li interpreta, il che è del tutto indipendente dalla nostra coscienza e auto-consapevolezza. Infatti, molte persone calme, ottimiste, fiduciose, soffrono anch’esse dolori cronici.

 

……Gli uomini non possono decidere ciò che trovano minaccioso, stressante o doloroso più di quanto non possa farlo un gatto. Sono decisioni lasciate a un sistema inconscio col quale non possiamo proprio ragionare.

Todd Hargrove, Treat Your Client Like a Wild Animal

Il nostro cervello modula il dolore basandosi su fattori che sono fuori dal nostro controllo, o molto difficili da controllare, o anche solo poco pratici da controllare.

Per esempio, se vediamo una mano dolorante attraverso una lente di ingrandimento, diventerà effettivamente più infiammata: cioè, se la facciamo sembrare più grande, la sentiremo come un problema più grande18. Ed è vero anche l’opposto! Se usiamo un mezzo ottico per rimpicciolire, l’edema si riduce. Incredibile, eh? Ma … abbiamo a portata di mano una lente che rimpicciolisce? E dove ne possiamo acquistare una? O addirittura un vetro riducente di grande dimensione? (sono effettivamente difficili da trovare, e guardare attraverso un binocolo al contrario non sembra una gran trovata19.) E che facciamo se il dolore è in una zona non tanto facile da rimpicciolire, come la schiena?

Questo trucco del rimpicciolire è maledettamente interessante, ma per la maggior parte dei dolori non è un approccio praticabile. L’effetto è reale se le circostanze sono adatte, ma tentare di usarlo come trattamento è come tentare di portarsi a casa i trucchi di un prestigiatore.

Anche se ignorare i segnali dolorifici dai tessuti è una prerogativa del cervello, non vuol dire che il cervello lo faccia: se c’è un processo patologico distruttivo in corso, per esempio, il cervello non ignorerà affatto quei segnali! Il sistema neurologico del dolore è fatto per rilevare problemi, e possiamo contare che lo faccia la maggior parte delle volte.

 

Guardate questo esempio curioso

Potenza del sistema nervoso centrale! Un gatto con sole tre zampe cerca di grattarsi con l’arto mancante:

 

foto-2-dolore

Un po’ più a sinistra …

 

Deve essere super-frustrante! La patetica inutilità del tentativo del gatto non induce il cervello a fermare l’azione. Il suo cervello ha un’immagine di come le cose dovrebbero funzionare e agisce di conseguenza. L’impulso va avanti come un treno merci, anche quando è palesemente senza effetto.

Così va spesso col dolore: se il cervello ritiene che ci sia una minaccia, sentiremo male; non importa quanto sia inutile, e non serve sforzarsi di avere sensazioni ragionevoli e ben motivate. Non dipende da noi, in gran misura.

Ma ciò non vuol dire che siamo del tutto impotenti. Possiamo influire in qualche misura sul nostro cervello. Presentiamo ora qualche suggerimento su come “hackerare” la neurologia del dolore.

foto-3-dolore

Se mi svegliassi al mattino e non sentissi alcun dolore, penserei di essere morto.

 

Qualche puntualizzazione in merito ai consigli del video australiano

All’inizio dell’articolo ho condiviso questo grazioso video australiano sul dolore cronico. I suoi messaggi principali sono esatti, e nell’insieme il filmato merita un bel 10. Ma sono preoccupato che alcuni dei consigli siano un po’ stereotipati e banalizzati, come succede spesso quando si affronta questo argomento.

Sicuro che è molto importante dare peso alla psicologia del dolore, ma il video si avvicina pericolosamente alla filosofia del non preoccuparti, stai sereno e al temuto “è tutto nella tua testa”: e non è assolutamente quello che vogliamo trasmettere qui.

Certo, il dolore sta nel cervello, ma questo concetto non deve essere semplificato così tanto da non sapere cosa farsene o, peggio, da sentirsi in colpa se si prova dolore (le persone con dolore cronico si sentono già abbastanza male20!) E non è facile! “Ci sono idee divertenti in medicina del dolore e neuroimmunologia che sono insidiose da applicare senza strafare” (Sandy Hilton, Physical Therapist).

Il video è incoraggiante, ma temo lo sia per motivi sbagliati: dipinge il dolore come un problema dovuto a un cervello disfunzionale che può essere “rieducato”, il che è certamente troppo ottimistico. Il cervello non è un terrier. Anche se può sembrare sensato tentare di rieducarlo, non c’è alcuna prova che si riesca, ed è assodato che spesso non si riesce. Ci sono molte possibili ragioni per questa impossibilità di cambiare.

foto-4-dolore

La maggior parte delle persone ha molta difficoltà a risolvere i problemi di salute mentale.

Per esempio, i fattori di stress e i disturbi dell’umore (depressione, ansia) possono rivelarsi invincibili. La maggior parte delle persone con dolore cronico non sono solo un po’ stressate, sono molto stressate, e spesso a causa di eventi difficili della vita e problemi sociali di cui non sono capaci di venire a capo21. Anche quando le difficoltà sembrano – viste da fuori! – abbastanza facili da superare, tutti abbiamo una grande difficoltà a risolvere i problemi di salute mentale. Quindi, sarà senz’altro corretto raccomandare ai pazienti di “imparare a ridurre lo stress” e “considerare come le emozioni e i pensieri influiscono sul sistema nervoso”, ma questo consiglio non ha alcun effetto se resta così vago. “Considerare” non basta, non è concreto.

Il punto più debole del video è la raccomandazione a “riconoscere le emozioni profonde”: questa è un’esortazione ancora meno praticabile, e molti pazienti rifiuteranno l’intero discorso, perché qui si entra in ambiti troppo delicati. Capisco a cosa miravano gli autori, ed è la punta dell’iceberg di un concetto importante – guarire mediante la “crescita personale” – che affronteremo più avanti, ma il video lo semplifica al punto da diventare assurdo.

Certamente approvo l’enfasi sui fattori psicosociali, ma è fondamentale essere realisti ed affrontarli in modo concreto. Perché, se affrontati bene, in qualche modo è possibile “liberarci mentalmente dal dolore” abbassando lo stress, la paura, l’ansia legate a un problema doloroso.

Ma ora veniamo alle buone nuove.

….Come facciamo a convincere le persone sofferenti che noi crediamo al loro dolore ma che il dolore non viene solo dai i loro tessuti? Una cosa essenziale da capire, ed è un cambiamento di idee notevole, è che il dolore è il risultato finale, un prodotto del cervello, pensato per proteggerli, … non è qualcosa che viene dai tessuti.

Lorimer Moseley, dal suo divertente TED talk, Why Things Hurt  14:33

La scienza dice che la fiducia è curativa

Una delle cinque domande che più spesso mi vengono rivolte via mail, riguardanti ogni condizione, è semplicemente: c’è speranza?” La risposta è quasi sempre la stessa: sì, c’è speranza. Non c’è mai una garanzia, ma c’è sempre speranza, e la guarigione dalla maggior parte di dolori cronici gravi non solo è possibile, ma anche abbastanza comune. A meno di patologie serie, come ad esempio un trauma molto grave, non c’è quasi mai ragione di temere che la guarigione da un dolore cronico sia impossibile. Per lo stesso motivo che rende un dolore assurdamente persistente e sproporzionato – il motivo è che è regolato dal cervello – è raro che si perda la possibilità di farlo diminuire o svanire.

Per esempio, il semplice infondere fiducia può fare una grande differenza.

Sono state fornite molte prove indirette di questo, e da molto tempo, ma una delle prime prove scientifiche veramente buone è stata pubblicata nel 2013 da Vibe-Fersum et al.22

Un mal di schiena disabilitante può migliorare grazie a diverse strategie narrative e di reazione.

La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) (Classification-based cognitive functional therapy) per il mal di schiena è “un approccio fisico-mentale per capire e gestire questo complesso problema” che “si indirizza alle credenze, alle paure e ai comportamenti associati” dei pazienti (quello che da molti anni chiamo “cura della fiducia”). La grande idea della TCC è che il circolo vizioso di dolore e disabilità può essere rotto calmando le ansie e le paure, e specificamente “rivedendo ciò che pensa il paziente del suo mal di schiena centrandosi su come egli lo vive, con un’enfasi sul cambiare i movimenti inappropriati, i comportamenti e le idee che contribuiscono al circolo vizioso del dolore.” Traduzione: praticamente qualsiasi strategia che ripristini la fiducia.

La TCC è stata testata su 62 pazienti con mal di schiena, comparati con 59 trattati con terapia manuale ed esercizi. Sia dopo tre mesi, sia dopo un anno, il gruppo trattato con TCC andava molto meglio23. La TCC era “più efficace nel migliorare il tono dell’umore e ridurre il dolore, la disabilità, la paura e le assenze per malattia rispetto alla terapia manuale e all’esercizio.” Come gli autori scrivono per BodyInMind.org, “un mal di schiena disabilitante può migliorare grazie a diverse strategie narrative e di reazione.”

C’erano alcune imperfezioni metodologiche nello studio, ma niente di tragico: possiamo tenere buoni questi risultati molto promettenti mentre aspettiamo la replicazione di studi con più soggetti.

Anche solo sapere questo può essere terapeutico, ma in che altro modo possiamo applicare queste buone notizie? In che altro modo si può “fare la TCC su se stessi, o convincere diversamente il nostro cervello a ridurre il dolore?

....Mentre il problema sembra superficialmente di natura fisica, la vera sfida del dolore cronico è sul piano mentale. Lo stato mentale è il più forte modulatore del dolore fisico. Sentiamo più male quando siamo tristi o stressati, e se il dolore aumenta ci fa più tristi e stressati. La via di uscita da questo circolo vizioso è un cambiamento globale di come percepiamo il dolore, la sofferenza e i problemi in genere.

Rob Heaton, How chronic pain has made me happier (Come il dolore cronico mi ha reso più felice)

 

Bassi trucchi: quali sono le applicazioni pratiche di queste conoscenze?

Il dolore è “un’altra *%$@!! opportunità di crescita” – un’altra provocazione che ci spinge a maturare come persone, e particolarmente forte. Per molte persone con dolore cronico e grave, imparare ad affrontare i problemi è una necessità. Ma la crescita personale ha probabilmente una portata molto maggiore del semplice far fronte al dolore. Non possiamo controllare il nostro cervello in modo diretto, ma abbiamo su di esso una considerevole influenza indiretta. Non possiamo gestire le sensazioni una per una, ma possiamo trafficare su larga scala. Possiamo cambiare il contesto e dirigere la nostra esperienza globale della vita. Per esempio …

Soffia, sbuffa e tira giù il dolore. Possiamo incidere sulla nostra fisiologia mediante una respirazione profonda e vigorosa, creando all’istante nuove sensazioni, e il nostro cervello proverà a seguirle per reinterpretare l’esperienza del dolore. Per saperne di più di questa singolare idea, si veda The Art of Bioenergetic Breathing (l’arte della respirazione bioenergetica).

Crea nuovi contesti sociali facendo qualcosa di tanto semplice come praticare uno sport di squadra: poiché ci sono altre persone che contano su di te, le conseguenze dolorose di un esercizio intenso sono solitamente ri-considerate come tollerabili, visto il contesto, se non addirittura desiderabili, e si può sopportare molto di più. Non si può aumentare la tolleranza al dolore sforzandosi mentalmente, ma ci si può mettere in una situazione che rende questo un risultato probabile. Questo è il motivo per cui Haven, una scuola di counseling che molti frequentano per conoscere meglio se stessi, usa laboratori “esperienziali” in cui le persone vengono messe in molte situazioni che gli fanno vivere insieme esperienze interessanti ed intense. I terapeuti di Haven armeggiano con il contesto sociale, perché noi esseri umani siamo talmente interessati l’uno all’altro che la nostra esperienza relazionale occupa completamente la nostra coscienza. Cambiamo la nostra vita sociale per cambiare il nostro cervello!

Riduci la paura e l’ansia, aumenta la fiducia, soprattutto imparando. Paura e ansia probabilmente hanno più potere di aggravare il nostro dolore di qualsiasi altro stato d’animo, e quindi acquisire conoscenze e prospettiva è un trattamento ottimo. Un cervello fiducioso e sereno amplifica il dolore meno di un cervello ansioso e infelice. Questo spiega molti risultati interessanti in terapia del dolore (per non parlare delle osservazioni cliniche), come i risultati nella terapia cognitivo-comportamentale riportati nella sezione precedente; e spiega perché il fattore più importante nel predire il tempo di ritorno al lavoro nel caso di mal di schiena è la previsione soggettiva di tornare al lavoro24; e spiega perché la terapia educazionale di per sé probabilmente aiuta ad alleviare la cervicalgia25,26. Quindi, gli operatori non devono continuare a cavarsela con la politica del terrore27. Conviene cercare tutta l’informazione (corretta!) che si riesce a trovare, perché niente rende più ansiosi dell’incertezza. Queste sono difese reali contro il dolore.

Intervieni presto: è fondamentale per evitare che il dolore acuto si trasformi in cronico28. È chiaro che il dolore cronico implica cambiamenti neurologici significativi, sia nei nervi sia in come il dolore viene elaborato dal cervello. Una volta che questi cambiamenti si instaurano, il recupero è molto più difficile, e la sofferenza e le spese mediche ingigantiscono. Un dolore persistente non dovrebbe essere ignorato. Bisogna affrontarlo prima, non poi.

Le cellule cerebrali che producono dolore si fanno via via più efficaci a produrre dolore.

Diventano sempre più eccitabili …

Lorimer Moseley, ricecatore, Why Things Hurt 14:33

 

Respingi fermamente l’idea autodistruttiva che il dolore sia “soltanto” psicologico o psicosomatico. Paradossalmente, anche se il dolore è potentemente regolato dal SNC, non è certamente “tutto nella nostra testa”. È sempre stata un’idea irriguardosa nei confronti di chi ha dolore cronico, ma oggi è anche scientificamente insostenibile: il suo posto è nella spazzatura. Ogni operatore che dice una cosa del genere va ignorato. Adesso lo sappiamo: il dolore non deve necessariamente essere causato da un evidente danno anatomico per essere “reale” e grave, e può avere notevoli risvolti psicologici, ma questo non vuol dire che è solo psicologico.

Sii gentile con il tuo sistema nervoso. Crea esperienze piacevoli e rassicuranti, sensazioni positive. Cerca il comfort. Se il cervello pensa che siamo sicuri, il dolore diminuisce – e le esperienze gradevoli danno sicurezza. Quindi, bisogna essere “carini” col SNC in ogni modo in cui pensiamo di poterlo essere. Bisogna far percepire delicatezza e sicurezza alla nostra vita – o anche solo a un’articolazione. Lo si può fare in modi globali, come un bel bagno caldo, o in modi specifici: massaggiare delicatamente un ginocchio indolenzito, dare a una spalla intrattabile il sollievo di un reggibraccio per un po’ di tempo, muovere cautamente ma ampiamente un’articolazione tribolata per dimostrare al cervello che va bene (“vedi, cervello? Riesco a farlo! Non va poi così male!” ). Ancora Moseley:

Per ridurre il dolore, dobbiamo ridurre le dimostrazioni credibili di pericolo e aumentare le dimostrazioni credibili di sicurezza.

 Lorimer Moseley. Explainer: what is pain and what is happening when we feel it? TheConversation.com.

Cambia qualcosa – quasi tutto! – riguardo a come percepisci una parte dolente. Bisogna cambiarne il più possibile la percezione. La percezione della parte dolente è uno dei fattori che il cervello usa per stabilire il livello di dolore di quella parte. Far percepire una parte corporea in modo significativamente diverso – in qualsiasi modo, può aiutare. Specialmente se la si fa percepire sicura, protetta, stabile. Questo probabilmente spiega perché molti trattamenti per problemi di dolore che sono diffusi ma scientificamente nulli e generalmente di piccolo cabotaggio, sembrano comunque avere almeno una qualche efficacia29. Classici esempi: ll kinesio taping, l’applicare bendaggi o guaine elastiche, gli unguenti, le vibrazioni, il caldo, il ghiaccio. A prescindere da come si suppone che lavorino – le presunte spiegazioni sono molte e troppo complesse – la maggior parte di questi metodi servono quasi solo a cambiare la percezione di una parte corporea30. Il beneficio di cambiare input sensitivo è probabilmente non molto più profondo dell’essere distratto da un rumore forte, … ma possiamo aggiungerlo alla cassetta degli attrezzi, seppure con aspettative limitate. Usiamo ogni metodo economico, conveniente, creativo: non c’è motivo per non farlo.

Non possiamo credere ai nostri occhi (al nostro dolore)

Un professore giapponese realizza curiose illusioni ottiche in 3D  1:26

Il dolore somiglia molto a queste strane illusioni ottiche, perché è distorto dalle nostre aspettative e dal nostro punto di vista. A differenza di questi ingegnosi modellini, però, non possiamo rigirarlo fra le mani per capire cosa succede veramente. E cercare di non farsi ingannare dall’illusione, cercare di credere che non c’è niente di gravemente danneggiato nei nostri tessuti (spesso è così), è ancora più difficile di smascherare questi trucchi. Ma la guarigione si gioca esattamente su questo: cercare di scambiare le nostre aspettative e punti di vista con sensazioni più gradevoli e movimenti più sani.

 

Ripara il riparabile” nella tua vita, e sii onesto su ciò che è effettivamente riparabile. La maggior parte delle persone non sono proprio così bloccate nella loro situazione esistenziale come pensano. Molti problemi non sono risolvibili, certo, ma alcuni di quelli più vecchi e difficili probabilmente lo sono: questo non lo consideriamo, e allora tendiamo ad essere i nostri peggiori nemici. E questi problemi sono di solito le fonti di gran parte della nostra ansia, depressione e stress, il che significa che hanno anche un impatto sul nostro dolore. Ci sono molti esempi di problemi difficili che possono spesso essere alleviati, con tanto impegno e magari con la fede: matrimoni malmessi, amicizie negative, cattivi lavori e cattivi capi, una casa, una città o un clima sgradevoli, povertà, dipendenze, insonnia e molto altro. Mettersi in moto per affrontare questi problemi è la strada più diretta per agire positivamente su come il cervello interpreta il dolore.

Non drammatizzare il dolore. Questo consiglio si merita un intero capitolo …

Non fare il tragico

Sembra una spada infiammata, intinta nel veleno, che mi strappa le carni e non smette mai.”

Le persone parlano veramente così quando sono in preda al dolore. (Mio padre parla così. Ed io ho l’impulso, forse genetico, di parlare così.)

Ma stiamo attenti a dipingere a tinte troppo forti il nostro dolore. È una tentazione. Ci sono mille ragioni di esagerare il dolore. Per esempio, il dolore è un’esperienza talmente privata, e tanto spesso minimizzata o addirittura negata dagli operatori, che i pazienti sono spesso tentati di drammatizzarlo per farlo sembrare più vero. Ma è una trappola! Quando si esagera il proprio dolore o lo si esprime in modo teatrale, lo si potenzia in senso neurologico, lo si esacerba.

La scala del dolore è la rappresentazione imperfetta delle spade infiammate e avvelenate. Se hai dolore cronico, ti è stato probabilmente chiesto molte volte di dare un punteggio al tuo dolore, probabilmente usando una scala da 1 a 10, e forse con un aiuto visuale come questo:

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Una tipica scala analogica del dolore

 

Da un lato, la scala del dolore è uno strumento essenziale per la clinica e per la ricerca, ed ha valore assodato: è il modo fondamentale di misurare l’effetto delle terapie, per capire se effettivamente funzionano. Dall’altro lato, le possibilità di abusare della scala del dolore sono infinite e la scala del dolore è una fonte di continua confusione negli studi medici. Sembra così facile da usare: devi solo dare un punteggio al tuo dannato dolore! Ma le persone restano spesso a bocca aperta quando gli si domanda di assegnare un numero alla loro sofferenza, o ci pensano troppo, o esagerano clamorosamente.

Molte volte ho visto discussioni sulla scala del dolore finire in filosofia. Il punteggio 10 è per il peggior dolore mai provato o per il peggior dolore immaginabile? Possiamo davvero immedesimarci nel dolore altrui? (No.) Se il dolore è fluttuante, prendiamo la media? Se il dolore è davvero atroce, usciamo dalla scala? O la ricalibriamo?

Il fatto è che le persone amano uscire dalla scala. Hanno la tentazione di drammatizzare, di esagerare. “Come minimo un punteggio 15. Quando ho partorito, ah, sarà stato 19 con punte di 38.”

Ironicamente, la scala del dolore è concepita per aiutare a pensare più obiettivamente e razionalmente al dolore, ma spesso crea invece altre opportunità per essere teatrali. Allora usiamola, ma in modo intelligente: come uno strumento per avere un’idea più realistica del dolore.

A proposito di esagerazioni, questo affare della scala del dolore è stato preso in giro spassosamente da Allie Bros nel suo brillante blog Hyperbole and a Half. Guardiamo la faccina corrispondente al punteggio 8 sopra: sembra davvero un punteggio 8? Secondo Brosh, sembra piuttosto pensare: “il gelato che ho comprato ha pochissime praline. Sono davvero deluso”. Ecco cosa propone invece:

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Sto soffrendo un dolore terribile. Potrei morire. Per favore aiutatemi”

 

Così sembra più reale! Questa non è ambigua! La scala del dolore di Brosh è molto divertente. State allo scherzo!

 

Qual è la differenza fra “il dolore è un’opinione” e “è tutto nella tua testa”?

Ho già puntualizzato un paio di volte che il dolore non è mai “tutto nella tua testa”, ma dobbiamo dirlo ancora più chiaro. Purtroppo, è complicato dire ai pazienti “talvolta il dolore ha poco a che fare col danno anatomico”, senza che essi capiscano “è tutto nella tua testa”. È un rischio sempre presente nella moderna medicina del dolore, e penso che sia un problema serio. L’ho sperimentato io stesso come paziente, e ne ho ascoltate molte testimonianze.

Per esempio, ecco l’inizio di una strana nonché edificante storia di mal di schiena, raccontata dal dr. Jerome Groopman nel suo libro The anatomy of hope (L’anatomia della speranza), intorno alla sua esperienza con un gravissimo mal di schiena cronico:

.il dr. Rainville piazzò la risonanza della mia colonna su una scatola illuminata appesa sul muro e ispezionò le lastre sistematicamente, vertebra dopo vertebra. Apparentemente soddisfatto di aver rivisto ogni dato importante, si voltò e si mise in piedi davanti a me.

Stai offrendo sacrifici al dio del dolore, Vulcano”, dichiarò. “Il dio del dolore Vulcano è il tuo padrone.” Mi avevano avvisato che Rainville era un medico poco diplomatico, e con idee controcorrente. Ma di che diavolo stava parlando?

La lettura di “uno che sta offrendo sacrifici al dio Vulcano” che Groopman dà di Rainville è davvero perspicace: una versione drammatica e intensa dell’idea centrale di questo articolo, cioè che il dolore può diventare totalmente disconnesso dalla realtà. Nonostante l’acutezza della spiegazione, Groopman ha qualche problema con le implicazioni, come tutti i pazienti:

…E cosa voleva dire in realtà, in freddi termini biologici, non con sgargianti metafore di dei Vulcano? Che cambiare le mie convinzioni poteva raffreddare i fiammeggianti circuiti del dolore? Forse che ero un fachiro che poteva camminare a piedi nudi sui carboni ardenti o giacere su un letto di chiodi?

Allora, ecco la differenza:

  • Il dolore “tutto nella testa” è dolore causato primariamente da ipocondria, che è un disturbo di ansia, una malattia mentale.

  • Il dolore cronico senza danno anatomico grave è una disfunzione in cui il sistema nervoso produce un dolore che è sproporzionato all’effettivo problema organico, talvolta in modo drammatico (come nel caso di Groopman). Ma, e questo fa una differenza essenziale, il problema di solito parte da un danno anatomico e di solito qualche danno ancora rimane.

Che fare se c’è un danno anatomico?

Le idee presentate in questo articolo sono così importanti clinicamente ed interessanti che, in molte discussioni, hanno cominciato a sovrastare il banale ma fondamentale fatto che il danno anatomico porta normalmente a provare dolore. Dolore e danno anatomico sono legati positivamente e fortemente. Il fatto che questo legame possa diventare poco chiaro e a volte rompersi non significa che non esiste, e che non sia saldo. Il dolore è instabile, ma non è totalmente matto!

La percezione del dolore è soggetta a forti distorsioni, ma queste sono rare e perlopiù allucinatorie. Noi possiamo inventare dolore dal niente, ma raramente lo facciamo. E possiamo subire dei traumi senza avvertire dolore, ma è raro. Ci sono esempi famosi e affascinanti di casi come questi (ne abbiamo qui descritti alcuni), ma sono famosi proprio perché sono piuttosto strani. La percezione del dolore può essere imprecisa, in particolare in casi complessi e cronici, ma è ancora perlopiù un sistema di allarme regolare e affidabile del danno anatomico.

Deve essere affidabile, altrimenti non avrebbe senso.

Il dolore cronico inspiegabile è comune, e la relazione fra danno anatomico e dolore spesso si fa più strana e confusa col tempo, il che disorienta pazienti ed operatori. Dobbiamo semplificare. Quando manca un danno anatomico noto, ci sono due possibilità (a parte l’ipocondria):

  1. O c’è un danno anatomico (fonte di nocicezione) che però non è identificato (decisamente comune, credo, anche se non ci piace ammetterlo), oppure

  2. La relazione fra danno anatomico e dolore si è interrotta (molto comune anche questo).

E questi scenari non sono incompatibili: si può avere sia un danno anatomico sia un’inaffidabile, sproporzionata reazione al dolore.

Il primo punto è rassicurante per molti. Sto parlando sia professionalmente che personalmente, perché ho sofferto un problema esattamente di questo tipo l’anno scorso: un dolore persistente senza causa apparente, al punto che alcuni operatori mi hanno detto che l’unico problema era una “disfunzione nella percezione del dolore”, cioè il provare dolore senza danno anatomico. Ma poi, meglio tardi che mai, la maledetta causa fu trovata e rimossa e fu la fine del dolore. Alleluia!

E così ho sofferto un anno di grave e costante dolore senza causa apparente, che era correlato positivamente e strettamente con un danno anatomico – solo molto elusivo.

So che cose simili sono successe a un sacco di altra gente.

Quindi, d’accordo che tecnicamente il dolore è veramente tutto nella testa, … ma allo stesso modo in cui lo sono le pesche, i calabroni e le nebulose. La maggior parte delle esperienze hanno solide radici nella realtà esterna. O nel nostro corpo.

…Tutto è nel cervello, ma quando vogliamo conoscere qualcosa dell’universo dobbiamo guardare nel telescopio, non nel cervello con la SPECT (tomografia ad emissione di fotone singolo).

Dr. Rob Tarzwell of One-Minute Medical School. (Ironicamente, quando il dr. Rob vuole indagare sulle persone, guarda con la SPECT.)

Se vogliamo informarci sulle pesche, dobbiamo studiare le pesche, non i cervelli. Se vogliamo conoscere le nebulose, usiamo un telescopio, non uno scanner cerebrale. E se vogliamo sapere come funziona il mal di schiena, dobbiamo studiare sia le lesioni e patologie della colonna, sia i particolari modi in cui il cervello percepisce il dolore. Ma ricordando che il cervello si solito basa la percezione su qualcosa che effettivamente sta succedendo nel “mondo” della nostra schiena.

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È una nebulosa lassù? O e solo un miraggio fra le nostre orecchie? Domanda trabocchetto!

(Running Chicken Nebula, foto di)

 

Avvertenza finale per operatori sanitari

La faccio semplice. Fisioterapisti, massofisioterapisti, chiropratici e chiunque lavora con persone doloranti: per piacere, considerate che può non essere il caso di tentare di “riparare” il corpo del paziente. È possibile che non sia possibile31.

Invece, mirate al sistema nervoso. Siate garbati con esso. Aiutate i pazienti a ricordare cosa si prova a sentirsi bene e sicuri. Siate fonte di esperienze sensoriali positive. Insegnate a stare tranquilli ed evitate di dare ai pazienti qualsiasi motivo per allarmarsi o preoccuparsi.

Paul Ingraham

paul

Sono un divulgatore scientifico, ex massoterapista, ed aiuto redattore di ScienceBased Medicine.org. Ho avuto la mia spettanza di lesioni e dolori in qualità di podista e giocatore di ultimate. Vivo con mia moglie nel centro di Vancouver, Canada. Potete vedere la mia biografia completa e i miei titoli e il mio blog Writerly. Potete incontrarmi su Facebook e Google, ma soprattutto Twitter.

 

Appendice: qualche esempio delle stranezze del dolore

Stranezze del dolore, esempio N°1: intuizione dalla visione, primavera 2011

Mi sono sottoposto a chirurgia refrattiva un mese fa. Oggi la mia vista mi ha dato una buona intuizione di come lavora il dolore. Il laboratorio del mio corpo mi ha fornito ancora una volta dei buoni risultati. Giuro che anche solo per avere una così efficace comprensione di come stanno le cose mi farei del male e mi sottoporrei a chirurgia (beh, forse pensandoci bene non è vero; ma capite cosa voglio dire).

La convalescenza va a meraviglia. Il mio occhio sinistro è praticamente bionico, ora. Il mio eccellente optometrista, che ama la scienza, praticamente non trova alcun segno residuo nel mio occhio sinistro. Nessuna cicatrice da laser. Niente più da recuperare. È a posto!

L’occhio destro? Un lavativo totale.

Il destro sembra cieco!

L’occhio sinistro va così bene che il destro sembra non vada bene. Fa un po’ male. In realtà, il destro sta anch’esso guarendo piuttosto bene: va secondo la tabella di marcia o perfino meglio.

Eppure il mio occhio sinistro bionico è così avanti nella guarigione che a paragone il destro soffre letteralmente. Sembra molto sfuocato e da un paio di settimane fa un po’ male, e questo mi preoccupa. Sentite cosa mi ha detto l’optometrista quando gli ho raccontato come va:

gli occhi spesso fanno male quando il loro proprietario pensa che abbiano qualcosa che non va.

Veramente? Allora … dovrei probabilmente resistere a questo pensiero, ma non riesco …

Il dolore è nell’occhio dell’osservatore

Quindi, se pensiamo che ci sia qualcosa che non va negli occhi, questi possono cominciare a far male. Questo dimostra abbastanza bene che “il dolore è un’opinione”. Cioè, l’intensità del dolore dipende in modo sorprendentemente grande da quanto la situazione sembra a noi preoccupante o pericolosa, dalla nostra “opinione sullo stato dell’organismo”. Se pensiamo che l’organismo sia al sicuro, il dolore sfumerà. Se pensiamo di essere in pericolo, allora il dolore diverrà più forte.

Questo non è chiaramente lo stesso di dire che è “tutto nella testa”. È dire che il dolore è influenzato – in meglio o in peggio – da ciò che abbiamo in testa, consapevolmente o meno.

Il mio optometrista ha descritto in buona sostanza il seguente scenario:

.qualcuno può “scoprire” un problema all’occhio che ha avuto per vent’anni, e adesso comincia a dolere. Così per caso, si copre un occhio mentre guarda la televisione e gli capita di notare che la vista dell’altro non è proprio perfetta. È stata sempre così – quasi tutti siamo leggermente astigmatici, ma il cervello compensa perfettamente quando entrambi gli occhi sono aperti -, però quando lo notano con un occhio coperto, la settimana dopo sono nel mio studio a lamentarsi che ci vedono male e che hanno dolore.

Affascinante. E identico al gioco della mente nel mal di schiena. Rispetto ai problemi di schiena, riconosco che l’idea dei problemi all’occhio è ancora più bizzarra, e quindi ancora più sensibile a fattori psicologici.

Preoccuparsi non è solo inutile: possiamo qui vedere che è addirittura controproducente e fonte di dolore (e di questo sì che c’è da preoccuparsi!). È un fatto: mi stavo preoccupando del mio occhio destro quando il suo solo problema era di essere meno veloce a guarire del sinistro. Buon Dio!

Devo ammettere che stavo davvero diventando un po’ ossessionato dalla faccenda nelle ultime due settimane. Avevo “scoperto” che non andava bene come il sinistro, e cominciai a controllarlo costantemente.

E così cominciò a farmi male.

Sono ancora impressionato da quanto facilmente vengo ingannato dalle illusioni della neurologia, anche quando sono ben consapevole di queste. Mi sta diventando sempre più chiaro, … se lo guardo con l’occhio sinistro, che dobbiamo conoscere bene le basi della fisiologia del dolore se vogliamo prendere la confidenza necessaria per non farci ingannare da queste illusioni. Sono riuscito a capire chiaramente la natura del problema quando me l’hanno spiegato, … ma nonostante tutta la mia conoscenza del dolore muscoloscheletrico non avrei capito niente di quello che mi stava capitando se non fossi stato aiutato.

 

Stranezze del dolore, esempio N°2: una barra di metallo nel braccio, indolore per 50 anni.

Sensibilità e dolore sono davvero fenomeni lunatici. A un estremo, possiamo diventare matti per un pezzo di bistecca infilato fra i denti. O, esattamente all’opposto, un ingombrante pezzo di metallo può starsene nel nostro corpo per 50 anni senza alcun fastidio. Una leva delle frecce di un’automobile!

Ad Art Lampitt una di queste si infilò nell’avambraccio in un incidente d’auto molti anni or sono. Nessuno lo rilevò, forse perché vi erano molte altre lesioni. E non diede alcun fastidio fino a poco tempo fa. Il suo braccio cominciò a fare male e a gonfiarsi e una radiografia mostrò uno strano, sottile terzo osso nell’avambraccio.

Speravo fosse ancora lucido”, disse in un’intervista, “ma era malamente corroso e forse per questo ha cominciato a crearmi problemi. Chi lo sa.”

Mi piacciono le stranezze mediche che sfidano i nostri preconcetti intorno a cosa provoca dolore. È notevole che non abbia dato fastidio per decenni – e se è possibile una cosa del genere, immaginiamoci quanto imprevedibili sono i sintomi di una lieve artrosi – ma è notevole che alla fine ha cominciato a dare fastidio. Un ottimo esempio di quanto strano sia il dolore.

 

Letture consigliate

 

  • La pagina web “Pain really is in the mind, but not in the way you think (Il dolore è veramente nella testa, ma non nel senso che intendi). In questo articolo non squisitamente tecnico, Lorimer Moseley riassume il ruolo della mente nel dolore cronico, specialmente nel mal di schiena.

  • Scratching an itch through the scalp to the brain” (Grattare un prurito direttamente nel cervello) è una pagina web su NewYorker.com. È uno scritto particolarmente bello, che usa una storia affascinante e tremenda – la storia di una donna che davvero si grattava attraverso il cuoio capelluto – per spiegare come funziona il dolore, proprio come fa questo articolo. È una cosa che molti esperti stanno dicendo in tanti diversi modi e sempre più spesso, ma questo è il migliore che abbia letto: un racconto avvincente e una logica perfetta da parte di Atul Gawande, uno dei migliori scrittori di medicina viventi.

  •  Why Things Hurt (Perchè sentiamo dolore) su YouTube.com. un TED talk molto divertente che parla di neurobiologia del dolore partendo dal morso di un serpente. È comico, come un cabaret! Lorimer Moseley, australiano, professore di neuroscienze cliniche e instancabile studioso del dolore, è uno dei più bravi docenti che abbia mai conosciuto: guardare il video è un must per ogni persona con dolore cronico e per ogni operatore che se ne occupa.

  •  Understanding Pain and what to do about it in less than five minutes (Capire il dolore e come affrontarlo in meno di 5 minuti) su YouTube.com. Un breve video ben prodotto che riassume nitidamente la maggior parte dei punti chiave dell’articolo. C’è qualche dettaglio a mio avviso non condivisibile, che ho discusso sopra.

  • PS Pain Relief from Personal Growth (Alleviare il dolore mediante la crescita personale) — trattare difficili problemi di dolore cercando di capire le emozioni e di trovare equilibrio e serenità.

  • PS Does Acupuncture Work for Pain? (L’agopuntura funziona per il dolore?) – una revisione delle attuali evidenze e miti sull’efficacia dell’agopuntura nel trattare il mal di schiena e altri comuni problemi di dolore.

  • PS Help for Anxiety (Un aiuto per l’ansia) l’ansia non risponde alla logica e alla ragione: e allora a cosa risponde?

  • PS Therapeutic Options for Pain Problems (Opzioni terapeutiche per problemi di dolore) – una guida alle terapie e alle professioni mediche per il dolore cronico e altri problemi muscoloscheletrici.

  • Pain: The science and culture of why we hurt (Il dolore: aspetti scientifici e culturali), un libro di Marni Jackson reperibile su amazon.com. È il libro perfetto per donne di mezza età che apprezzano uno stile apertamente poetico e civettuolo. Altri lo potrebbero trovare scoraggiante, non abbastanza rigoroso per chi ha mentalità scientifica né abbastanza esplicativo per l’uomo della strada che cerchi una reale comprensione sia scientifica, sia culturale del “mi fa male”. Ciò nonostante, è una delle più moderne e accessibili indagini della medicina del dolore disponibili per i lettori.

  • All in my head: an epic quest to cure an unrelenting, totally unreasonable, and only slightly enlightening headache, (Tutto nella mia testa: una ricerca epica della cura di uno spietato, completamente irragionevole, e solo poco educativo mal di testa) un libro di Paula Kamen (questo è l’indice). Reperibile su amazon.com Come PainScience.com, questo libro offre una singolare combinazione di humour e informazione sul dolore. Kamen è uno scrittore molto coinvolgente e racconta la sua storia con personalità e rigore giornalistico.

  • Un eccellente articolo scientifico di Lorimer Mosely: “Reconceptualising pain according to modern pain science” (Ripensare il dolore alla luce della scienza odierna).

  • Central sensitization: Implications for the diagnosis and treatment of pain,” (Sensibilizzazione centrale: implicazioni per la diagnosi e il trattamento del dolore) un articolo su Pain, 2010. Il dolore stesso spesso modifica il modo in cui il sistema nervoso centrale lavora, cosicché il paziente diventa più sensibile e prova più dolore con stimoli minori. Questa sensibilizzazione è detta “sensibilizzazione centrale”, perché implica cambiamenti nel SNC, soprattutto nel cervello e nel midollo spinale. Le vittime non sono solo più sensibili a ciò che dovrebbe nuocere, ma anche ai normali stimoli di tatto e pressione. Il loro dolore, inoltre, “riverbera” (“fa l’eco”), cioè svanisce più lentamente che nelle altre persone. Per un sommario molto più dettagliato di questo studio, si veda Central Sensitization in Chronic Pain (Sensibilizzazione centrale nel dolore cronico).

 

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Osteopata: indecifrabile anche il collocamento del percorso formativo

 

Note

1 La complessità del dolore lo rende difficile da trattare, però il fatto che siano coinvolti molti fattori fa sì che ve ne siano alcuni affrontabili con successo: ma solo se abbiamo una comprensione aggiornata di come il dolore funziona. Non si può attaccare un sistema che non si conosce. Questa è un’ottima ragione per auspicare una maggior diffusione della biologia!

2 La moderna medicina del dolore è iniziata negli anni ’60 col lavoro di Ronald Melzack e Patrick Wall.

3 Tutta la medicina del dolore qui presentata in modo semplice è esposta in forma più colta dal sapiente dr. Lorimer Moseley, uno scienziato australiano, nel suo eccellente articolo “Reconceptualising pain according to modern pain science” (Ripensare il dolore secondo la moderna scienza del dolore). L’articolo di Moseley è il complemento perfetto di questo: è al tempo stesso molto più dettagliato e scientifico e molto più leggibile rispetto ad un testo di neurologia.

4 Il tipo di causa presunta di dolore muscoloscheletrico cui si pensa più spesso – cioè un problema “strutturale” o biomeccanico come un arto più corto o una discopatia – è una delle spiegazioni meno probabili. Questa spiegazione ha mostrato negli ultimi 20-30 anni una notevole incapacità di dare frutti terapeutici, a riprova che il dolore è molto più del segnale di un tessuto leso. Si veda Your Back Is Not Out of Alignment (“La tua schiena non è fuori allineamento”, tradotto in questo Blog).

6 Moseley L, Gallace A, Spence C. Is mirror therapy all it is cracked up to be? Current evidence and future directions. Pain. 2008 Aug;138(1):7–10. PubMed #18621484.

Nonostante il grande sostegno alla mirror therapy per la terapia del dolore che viene dalla letteratura scientifica, clinica e popolare, la stragrande maggioranza dei dati è di tipo aneddotico, cioè presenta evidenze deboli, ad essere generosi. Ci sono soltanto due studi metodologicamente solidi in merito, ed entrambi concludono che la mirror therapy non è più efficace del ripristino della mappa motoria (motor imagery) per il sollievo immediato dal dolore, anche se è presumibilmente più interessante e può essere d’aiuto se usata regolarmente a lungo termine. Tre studi di buona qualità danno risultati positivi per un programma di ripristino delle mappe motorie che incorporano la mirror therapy, ma il ruolo della mirror therapy nell’effetto totale non è noto. Ci vorranno altri studi, ma intanto il maggior peso delle afferenze visive su quelle somatiche, suggerisce che gli specchi possono essere utili nella terapia del dolore e nella riabilitazione condotta mediante interazioni multisensoriali. Insomma, gli specchi possono servire in terapia del dolore, ma non sappiamo ancora esattamente in che modo.

7 Fisher JP, Hassan DT, O’Connor N. Minerva. BMJ. 1995 Jan 7;310(70).

8 “Nocebo” è una parola latina che significa “farò male”. Si riferisce all’effetto dannoso … del semplice credere che ci sarà un effetto dannoso. Date a qualcuno una pillola di zucchero e convincetelo che gli avete dato del veleno, avrete probabilmente provocato un forte effetto nocebo. Un comune e divertente (se non capita a noi stessi) effetto nocebo in medicina generale è il terrore delle “rape nel w.c.”: la gente mangia rape rosse e poi pensa che ci sia sangue nelle feci, e chiama il 118. Il nocebo è un fenomeno reale, da non prendere sottogamba. È uno dei più grandi rischi del fare troppe radiografie e RM alla colonna, per esempio: si dice ai pazienti che hanno dei problemi “dimostrati”, mentre nei fatti spesso non sono affatto dei problemi. Ed è una delle ragioni principali per cui può essere utile informarsi su questi temi.

9 Gawande: “una nuova comprensione scientifica della percezione si è fatta strada negli ultimi decenni, e ha rovesciato credenze secolari su come lavora il cervello, ma evidentemente non è ancora entrata nel mondo medico. La vecchia comprensione della percezione è quella che i neuroscienziati chiamano “la visione ingenua” ed è la visione che la maggior parte delle persone, dentro o fuori da mondo medico, ancora hanno. Siamo propensi a pensare che percepiamo le cose del mondo direttamente. Crediamo che la durezza di una roccia, il freddo di un cubetto di ghiaccio, la ruvidezza di una maglia siano rilevate dalle nostre terminazioni nervose, trasmesse lungo il midollo spinale come un messaggio lungo un cavo, e decodificate dal cervello.”

11 Beecher HK. Relationship of significance of wound to pain experienced. JAMA. 1956 Aug;161(17):1609–1613. PubMed #13345630.

12 Jackson M.Pain: The science and culture of why we hurt. Trade paperback ed. Random House; 2003.

13 Moseley GL, Butler DS. Fifteen Years of Explaining Pain: The Past, Present, and Future. J Pain. 2015 Jun. PubMed #26051220.

Un riassunto persuasivo, aggiornato e ufficiale su come finora sta funzionando “explain pain” (molto bene). Moseley e Butler sono sempre ben leggibili, anche quando scrivono per riviste scientifiche, ma si veda anche il loro blog sullo stesso tema.

14 Questo malinteso viene dritto da alcuni portavoce fanatici di Explain Pain, che promuovono aggressivamente l’idea che il dolore sia staccato dal danno dei tessuti. È vero e molto importante che la relazione fra danno dei tessuti e dolore è spesso scarsa, ma resta comunque molto forte nella maggior parte dei casi.

15 Il messaggio centrale di Explain Pain è che il dolore offre spesso un’idea esagerata del danno ai tessuti. Nella sensibilizzazione centrale, questa esagerazione è patologica e radicata: la segnalazione di pericolo è regolarmente e grandemente esagerata. Ma quella è una condizione eccezionale. Il dolore è ordinariamente fuori proporzione, anche quando non c’è assolutamente alcuna sensibilizzazione patologica.

16 Non si tratta di spaccare il capello in quattro. Non si vuol dire che il dolore non sia reale, o che i tessuti non possano avere effettivamente dei problemi. Ciò che si vuol dire è che ogni dolore, sempre, non importa di che tipo, è un’interpretazione inaffidabile e strana dell’informazione che va al cervello dal nostro corpo. Esattamente come il nostro cervello “costruisce” quello che vediamo, così costruisce il dolore.

17 TheConversation.com [Internet]. Moseley L. Pain really is in the mind, but not in the way you think; 2013 Jul 20 [citato il 6 gen 2014].

18 Moseley GL, Parsons TJ, Spence C. Visual distortion of a limb modulates the pain and swelling evoked by movement. Curr Biol. 2008 Nov;18(22):R1047–8.PubMed #19036329.

La sensazione che il nostro corpo ci appartenga e sia costantemente presente, è un aspetto basilare della immagine corporea. Anche se la diamo normalmente per immutabile, la nostra immagine corporea è distorta in molte condizioni patologiche. Un comune disturbo dell’immagine corporea, in cui un arto sembra più grosso di quanto in realtà non sia, può essere indotto in volontari sani usando anestesia locale o stimolazione cutanea. In questo studio si riporta che, in pazienti con dolore cronico, ingrandire visivamente un loro arto durante il movimento aumenta significativamente il dolore e l’edema evocato dal movimento. Per contrasto, rimpicciolirne la visione li riduce significativamente. Questi effetti ci mostrano un effetto top-down dell’immagine corporea sui tessuti, quindi dimostrano che il legame fra immagine corporea e tessuti è bidirezionale.

19 Questo è problem-solving creativo, ma credo che renda più forte l’argomento della poca praticità: l’esiguo campo visivo del binocolo probabilmente mina alla base l’illusione, e non poco. Vedersi un braccio lontano attraverso uno spioncino può non avere l’effetto desiderato. Non che sia inutile tentare, ma perché funzioni in questo modo, il cervello deve lasciarsi francamente imbrogliare.

20 Toye F, Seers K, Allcock N, et al. Patients’ experiences of chronic non-malignant musculoskeletal pain: a qualitative systematic review. The British Journal of General Practice. 2013 Dec;63(617):829–41. PubMed #24351499.

È una revisione delle ricerche qualitative sul dolore muscoloscheletrico, condotta per fare luce su come ci si sente quando si soffre di dolore cronico. Alcuni atti preoccupanti sono chiari. Il dolore cronico muscoloscheletrico spesso forza i pazienti nella imbarazzante condizione di dover provare la credibilità della loro condizione: “se sembro ‘troppo malato’ o ‘non abbastanza malato’, allora nessuno mi crede”, dicono. Molti arrivano a dubitare di se stessi! Molti perdono la speranza e si sentono abbandonati dagli operatori sanitari.

21 Pensiamo per esempio a quanto difficile sia ridurre lo stress per una madre single in miseria, con problemi di salute seri e senza sostegno dei servizi sociali. E raccomandarle di “non stressarsi” suona giustamente come un insulto di un paternalismo ingenuo.

23 I pazienti trattati con terapia cognitivo-comportamentale hanno guadagnato 13 punti su 100 nella scala della disabilità e 3 punti su 10 nella scala del dolore. Non sono risultati sensazionali, ma sufficienti per essere considerati clinicamente significativi e molto migliori di quelli ottenuti da terapia manuale e esercizi (5,5 e 1,5 sulle stesse scale).

24 Schultz IZ, Crook J, Meloche GR, Berkowitz J. Psychosocial factors predictive of occupational low back disability: towards development of a return-to-work model.Pain. 2004 Jan:77–85. PubMed #14715392. Questo studio ha individuato dei fattori che influenzano il tempo di ritorno al lavoro dopo un episodio di mal di schiena. Dall’abstract: “I più importanti fattori psicologici individuati sono l’aspettativa di recuperare e la percezione del miglioramento.”

25 Brison RJ, Hartling L, Dostaler S. A randomized controlled trial of an educational intervention to prevent the chronic pain of whiplash associated disorders following rear-end motor vehicle collisions. Spine. 2005 Aug 15;30(16):1799–807.PubMed #16103847.

Questo è uno dei pochi studi che mostrano un effetto benefico della terapia educazionale specificamente per la cervicalgia. I ricercatori proiettarono un video educazionale tranquillizzante a più di 200 pazienti con “disturbi legati a colpo di frusta” (cioè, colpi di frusta che si trasformano in torcicollo cronici), e trovarono che avevano sintomi meno gravi dei pazienti che non ricevettero intervento educazionale. L’efficacia dell’intervento educazionale probabilmente dipende molto dal tipo di dolore cervicale e dal tipo di intervento, rendendolo molto difficile da studiare. Una revisione recente della letteratura scientifica ha trovato che molti di questi studi sono negativi (vedi Haines o Ainpradub), ma credo che restino ancora ragioni per essere ottimisti sulla terapia educazionale per il dolore. Soprattutto, dipende dal tipo e dalla qualità dell’intervento educazionale: che può essere efficace se appropriato o addirittura dannoso se inadatto. Il fatto che una seppur limitata formazione sia comunque benefica è promettente.

26 Bodyinmind.org [Internet]. Moseley L. The therapy might work, but does it work in the manner you think it does?; 2012 Jun 18 [citato il 15 luglio 20 15].

Sappiamo che “spiegare il dolore” sembra ridurre il dolore: ma in che modo? Sappiamo davvero cosa succede? “La teoria che sta dietro allo spiegare il dolore dice che lo fa diminuire perché cambia l’idea di cosa il dolore sia effettivamente.” Il dr. Moseley applica metodicamente un test di validità (il test di Burns) a quella teoria, test che passa a mani basse, a significare che è una teoria ragionevole e efficace intorno a come l’intervento educazionale sul dolore funziona. (non una prova che effettivamente funzionauna differenza tecnica importante!).

In contrasto è da notare che, in un articolo di follow-up, Moseley conclude che la tecnica del Graded Motor Imagery (lett. ripristino graduale della mappa motoria) non ha soddisfatto il test di Burns – il che dimostra bene che ragiona onestamente.

27 Perchè dovrebbero farlo? Purtroppo, è molto comune per gli operatori sanitari la tendenza a rinforzare involontariamente idee distruttive su ciò che potrebbe essere fuori posto e causare dolore. Uno degli aspetti non poi così innocui della medicina alternativa è che tende a produrre molte di queste idee.

28 Mense S, Simons DG, Russell IJ. Muscle pain: understanding its nature, diagnosis and treatment. 1st hardcover ed. Lippincott Williams & Wilkins; 2000.

29 Spesso si vedono cambiamenti “strani” e inspiegabili in condizioni dolorose, cambiamenti positivi e negativi, in risposta ad un tentativo di trattamento – e però è incredibilmente raro trovare evidenze che qualche trattamento funzioni meglio del placebo. Come si spiega? Può darsi che quasi ogni cosa che dia un input cambi in qualche modo l’output, cioè che quasi ogni cosa fatta o applicata al corpo abbia il potenziale di influenzare come il corpo si sente e funziona. Il dolore è un “output”, ricordiamolo sempre. La condizione dei tessuti è faccenda chimica, e la chimica di qualsiasi cosa è supervisionata e regolata molto finemente e di continuo. Gli errori di regolazione e gli effetti collaterali e i compromessi in questi processi sono all’ordine del giorno, ma si va comunque avanti tutta, costantemente, cercando un equilibrio chimico; è un processo che finisce solo quando moriamo. Molti input possono cambiare la situazione – il problema è che è difficile se non impossibile predire quali siano di aiuto, o facciano una qualche differenza.

30 È ovvio che applicare un tutore a un ginocchio per risparmiare un legamento leso è una cosa diversa, e dal chiaro significato. Allo stesso modo, sostenere una caviglia instabile con un taping di immobilizzazione (non un kinesio taping) ha un effetto anzitutto meccanico. Ma i sostegni ortopedici sono spesso prescritti per ragioni molto meno chiare, e il taping tradizionale è diventato una cosa strana: il kinesio taping tanto di moda fra gli sportivi e non solo. Queste tecniche spesso poggiano su basi puramente ipotetiche, ma probabilmente non sono altro che modi fantasiosi di far percepire parti del corpo in modo diverso.

31 Non vorrei turbare troppe menti. L’idea che ci potrebbe essere poco o nulla da fare per “riparare” i tessuti in qualsiasi modo significativo è un concetto rivoluzionario per molti operatori. Sospetto che ci siano alcuni possibili esempi, ma il punto è che quasi tutte le forme di terapia manuale e fisica, la maggior parte delle volte (che noi lo sappiamo o no) sono quasi esclusivamente stimoli al sistema nervoso. E i “risultati” sono la reazione del SNC, che cambia la sua percezione. La condizione del tessuto rimane uguale, o cambia pochissimo. La carne è particolarmente brava a restare così com’è. (Dopo una lesione, la tendenza inesorabile è tornare all’omeostasi).

Postato il 10 settembre 2017