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L’interesse crescente per l’uso della robotica in funzione dell’attività dell’uomo nasce negli anni 1950-1960, contemporaneamente al boom economico. In tale periodo si manifestò, infatti, l’esigenza di poter utilizzare dispositivi in grado di ridurre tempi e costi della produzione industriale e di sostituire gli uomini nello svolgimento delle loro attività più faticose, ripetitive e semplici.
Col passare degli anni si è compreso che la robotica, in virtù della sua natura interdisciplinare, poteva essere applicata in numerosi contesti (militare, spaziale, biomedico, chirurgico, sociale, …) tra cui quello della riabilitazione.
In questi contesti, in particolare quello riabilitativo, cambia totalmente il ruolo della nuova tecnologia e del dispositivo robotico rispetto alla precedente concezione: il dispositivo robotico non deve essere più solo uno strumento da utilizzarsi per sostituire l’uomo nelle sue mansioni quotidiane, ma deve diventare uno strumento a disposizione dell’uomo per collaborare ad ottimizzare e migliorare la sua prestazione.
Pertanto, l’obiettivo della ricerca nei confronti della tecnologia robotica in ambito riabilitativo, è quello di fornire dispositivi robotici con la capacità di rilevare e adattarsi alla realtà e alle esigenze degli esseri umani e cooperare con loro a seconda delle finalità per le quali sono stati scelti dal professionista sanitario responsabile.
Attualmente, nelle maggior parte dei casi, i dispositivi robotici usati in ambito riabilitativo o sono strumenti apparentemente semplici, utilizzati per svolgere specifici compiti, oppure sono strumenti complessi, utilizzati solo nel contesto della ricerca per coniugare velocità di adattamento tecnologico con specifiche richieste dei futuri utilizzatori. Nonostante la consapevolezza che l’utilizzo di dispositivi robotici può ottimizzare la riabilitazione fisioterapica, oltre che supportarla attraverso oggettive e preziose valutazioni numeriche e misurazioni (come accreditato dai numerosi studi sperimentali effettuati), spesso alcuni fisioterapisti sono ancora restii ad utilizzarli nella loro attività lavorativa.
Sarebbe opportuno tenere in maggiore considerazione la riabilitazione supportata da dispositivi robotici e attrezzarsi per tempo per la loro utilizzazione, sia a causa della crescente longevità della popolazione mondiale (e del conseguente incremento di incidenza di disabilità gravi o moderate per patologie neurologiche o degenerative), sia a causa di attività a rischio di incidenti o traumi, sia per la necessità di ridurre i tempi di ricovero ospedaliero.
Quanto sopra evidenzia il bisogno, sempre più diffuso, di prestazioni riabilitative che coadiuvino l’intervento medico in tutte le fasi seguenti ad un evento lesivo, sia durante la degenza ospedaliera sia in seguito alla dimissione da questa.
La riabilitazione supportata dall’utilizzo di sistemi robotici può comportare numerosi vantaggi; in particolare permette prestazioni riabilitative più intensive (aumentandone la quantità di terapia somministrabile) e permette di impostare e gestire alcuni parametri di lavoro per rendere la riabilitazione specifica e ottimale per il paziente (la tipologia dell’esercizio, il livello di assistenza da parte del robot, la forza che il paziente deve esercitare, le traiettorie da seguire, la velocità di mobilizzazione…).
Teoricamente, un fisioterapista esperto di utilizzazione di riabilitazione robotica potrebbe riuscire a seguire contemporaneamente un maggior numero di pazienti, garantendo sicurezza, controllo e qualità della terapia riabilitativa, e riuscirebbe anche a ridurre il proprio carico di attività ripetitive, rimanendo meno affaticato dalla somministrazione di esercizi ripetitivi e intensivi; il fisioterapista riuscirebbe pertanto a dedicarsi maggiormente all’esecuzione di tecniche riabilitative più complesse che non possono essere eseguite da un robot e i tempi di attesa per iniziare la prestazione riabilitativa risulterebbero ridotti1.
È importante, soprattutto in ambito neurologico, che al paziente venga garantita la possibilità di fruire di interventi riabilitativi continuativi sia durante il ricovero ospedaliero, sia in seguito alla dimissione ospedaliera in strutture specifiche o a domicilio, per diminuire il rischio di aggravamento della disabilità e per promuovere il miglior stato di salute, il massimo grado di autonomia e la migliore qualità di vita possibile per il paziente.
Purtroppo, in diversi Paesi europei i pazienti effettuano la riabilitazione ospedaliera solo per brevi periodi e l’accesso alle terapie riabilitative è molto limitato nel momento in cui i pazienti si trovano presso il proprio domicilio.
L’eventuale introduzione di un dispositivo robotico per un programma riabilitativo domiciliare post-degenza, controllato e impostato telematicamente dal fisioterapista di seduta in seduta, presenterebbe vantaggi in termini economici e/o di tempo per la società, l’azienda ospedaliera, il paziente e i suoi familiari. Inoltre, la possibilità di riabilitazione presso la propria abitazione influirebbe positivamente sul miglioramento dello stato psicologico del paziente.
I dispositivi robotici possono muovere passivamente l’arto colpito, assisterlo nel suo movimento o conferirgli un’adeguata resistenza con la finalità di migliorare, per esempio, il controllo motorio e la forza muscolare, la coordinazione inter-segmentaria, attraverso richieste di compiti specifici e ripetitivi. Allo scopo di coinvolgere al massimo il paziente durante la seduta riabilitativa, la realtà virtuale ricrea (con la supervisione del fisioterapista e tramite l’utilizzo di hardware e software) un ambiente di lavoro adatto al paziente, proponendo esercizi terapeutici interattivi, offrendo feedback visivi, uditivi, cinestesici e precisi obiettivi.
L’utilizzo di dispositivi robotici e la realtà virtuale possono essere usati per offrire un supporto riabilitativo innovativo, garantendo interventi riabilitativi che avvalorano l’intensità, la ripetitività, la significatività di un esercizio e la stimolazione multisensoriale, caratteristiche riabilitative che vengono attualmente privilegiate in accordo con le ampliate conoscenze dei meccanismi neurobiologici della plasticità cerebrale. Con l’utilizzo di dispositivi robotici la realizzazione di questi presupposti avviene mediante:
● l’esecuzione reiterata, supportata da strumenti robotici
● l’esaltazione dell’informazione sensoriale di ritorno, prodotta da sistemi in realtà virtuale
● la realizzazione di un “Ambiente Arricchito” 2,3.
Sono stati programmati e costruiti robot specifici per la riabilitazione di precisi distretti corporei o funzioni (spalla, braccio, avambraccio, mano, arto inferiore, in generale più specifici per la riabilitazione della funzione del cammino, per la riabilitazione della funzione dell’equilibrio, ecc.) che possono essere utilizzati in moltissimi ambiti riabilitativi e patologie, da quelle neurologiche sia del sistema nervoso centrale che di quello periferico, a quelle ortopediche, a casi di pazienti sottoposti ad amputazioni1.
In generale, da un punto di vista meccanico, gli strumenti robotici riabilitativi si dividono in due categorie: end-effector ed esoscheletri.
I sistemi end-effector interagiscono con il paziente, agganciandosi alla parte terminale del segmento corporeo da riabilitare attraverso un punto di contatto (l’effettore) a cui il soggetto è collegato tramite un’interfaccia meccanica (per esempio una maniglia o un pedale). I sistemi end-effector permettono un numero di movimenti più limitato rispetto alle possibilità e ai gradi fisiologici delle articolazioni umane, ma non richiedono un lento e complicato adattamento del paziente al dispositivo. La riabilitazione effettuata attraverso l’utilizzo di questa tipologia di sistema robotico, ha la caratteristica (studiata e indicata soprattutto nelle patologie neurologiche) di essere ripetitiva, intensiva e task-oriented e permettono al fisioterapista di pianificare, aggiornare e personalizzare il protocollo di esercizio riabilitativo in base alle necessità e alla funzione motoria residua del paziente, poiché è possibile registrare e quantificare in modo oggettivo parametri (come: forza, precisione del lavoro, traiettorie seguite, …) al termine di ogni singola seduta riabilitativa.
I sistemi esoscheletrici, invece, sono sistemi meccatronici indossabili, il cui movimento è analogo a quello svolto fisiologicamente dal paziente e in cui l’interfaccia robot/paziente è estesa a tutto l’arto o distretto corporeo da riabilitare. Il numero di gradi di libertà di movimento dell’esoscheletro, è lo stesso di quello delle articolazioni sulle quali si vuole agire tramite il trattamento riabilitativo. Gli esoscheletri possono essere utilizzati, per esempio, come tutori per il cammino o per la riabilitazione dell’arto superiore. Gli esoscheletri sono sistemi più complessi rispetto agli end-effector ed hanno maggiori limiti di utilizzo, sia a causa dei costi elevati sia per il più difficoltoso adattamento tra paziente e dispositivo robotico1,4.
I sistemi robotici in relazione al livello di assistenza fornita al paziente durante il trattamento sono distinti in:
Passivi – Il dispositivo prevede l’impostazione di esercizi per la mobilizzazione articolare, con movimenti che vengono fatti compiere alle articolazioni di un paziente senza che questi partecipi al movimento con la contrazione muscolare volontaria.
Attivi – L’arto viene mosso attivamente dal paziente e il dispositivo può assistere e/o partecipare al movimento, senza però sostituirsi all’arto. Il sistema obbliga il braccio del paziente ad un percorso predefinito.
Interattivi – Il dispositivo reagisce agli input del paziente per fornire un feedback di assistenza ottimale.
Uno dei primi studi condotti per valutare l’efficacia dell’utilizzo di dispositivi robotici nella riabilitazione, in particolare a carico dell’arto superiore in esiti di stroke, è stato quello condotto da Hogan e Krebs nel 1997 utilizzando MIT-MANUS, che è un dispositivo end-effector.
Tra i dispositivi robotici (end-effector o esoscheletrici) più studiati si possono elencare: MIME (Mirror Image Motion Enabler), Bi-Manu-Track, SEAT (Simulation Enviroment for Arm therapy), ARM-Guide (Assisted Rehabilitation and Measurement Guide), NeReBot (Neurorehabilitation Robot) e ARMin.
Questi dispositivi permettono modalità di esercizio terapeutico differenti, tra le quali: la possibilità di produrre un movimento passivo, attivo-assistito, attivo o resistito. Ulteriore modalità terapeutica attuabile da MIME e Bi-Manu-Track è quella dell’esercizio bimanuale, in cui i movimenti attivi prodotti dall’arto superiore sano si riflettono simultaneamente in movimenti passivi (prodotti dal dispositivo robotico) dell’arto colpito4.
Le modalità di trattamento terapeutico (passiva, attiva-assistita, resistita) riproducibili con i dispositivi robotici, sono tendenzialmente tutti somministrabili con un unico robot e risulta quindi più complicato verificare l’efficacia delle singole modalità. In particolare, negli studi condotti sulla riabilitazione robotica in esiti di stroke, è stato dimostrato che un approccio riabilitativo multimodale e ad alta intensità migliora il recupero motorio post-ictus degli arti superiori5. In questi casi, per esempio, la modalità di trattamento passiva è finalizzata al mantenimento della mobilità e della stabilità delle articolazioni e della gestione della spasticità, in previsione di un trattamento più intenso nel breve termine, ma sembra non influenzare in modo determinante l’outcome motorio. Invece sembrano non esserci rilevanti differenze tra i risultati degli studi condotti con modalità di trattamento robotico attivo-assistito, rispetto alla modalità resistita6,7.
In generale, con il crescente utilizzo di dispositivi robotici, si è notato che la terapia robot-assistita porta a un miglioramento di molti aspetti del controllo motorio, come l’attivazione muscolare, selettività e velocità del movimento che si mantiene, secondo i dati raccolti attraverso studi clinici nel caso di conseguenze di un evento ictale, per un periodo che varia da mesi ad anni6.
I risultati degli studi condotti sull’efficacia dei dispositivi robotici in varie patologie per il recupero funzionale dei distretti corporei riabilitati, mostrano miglioramenti motori e funzionali, di grado variabile, sia in fase acuta che in fase cronica e che i pazienti sottoposti alla riabilitazione attraverso l’ausilio di dispositivi robotici e realtà virtuali, risultano essere più stimolati a continuare il trattamento per un lungo periodo di tempo.
I principi su cui vengono condotte le sedute di riabilitazione tramite dispositivi robotici, oltre che sulla ripetitività, intensività e esercizi task-oriented, si basano sulla loro capacità di produrre o partecipare a movimenti ripetitivi senza errori e impostati dal fisioterapista in relazione alle necessità e caratteristiche del paziente. I dispositivi robotici spesso permettono movimenti altrimenti impossibili senza il loro supporto (ad esempio, gli esoscheletri che permettono a persone, che altrimenti non potrebbero, di camminare) incidendo notevolmente anche a livello psicologico e di compliance da parte del paziente alla terapia riabilitativa, anche grazie ai feedback visivi, uditivi e cinestesici scambiati con il paziente durante gli esercizi1,8.
Durante la mia esperienza di tirocinante ho avuto l’opportunità di occuparmi e interessarmi alla robotica e alla sua applicazione in riabilitazione.
La consapevolezza che la robotica può essere studiata e utilizzata per garantire una riuscita riabilitativa sempre più ottimale in pazienti selezionati, la lettura e lo studio di diversi lavori presenti in letteratura che hanno messo in evidenza come il training “compito-specifico” può influire significativamente sul recupero funzionale e che, in particolare, la riabilitazione robot-assistita incide significativamente sul livello di compromissione e conseguentemente sull’outcome motorio post-riabilitativo grazie anche alla sua capacità di somministrare protocolli di trattamento ad elevate intensità, ripetitività e task-oriented9, mi hanno spinta a svolgere uno studio sperimentale per la tesi di laurea triennale in fisioterapia sul confronto tra la riabilitazione con fisioterapia convenzionale (condotta secondo le LINEE GUIDA SPERAD VIII) e la riabilitazione robot-assistita (condotta con MOTORE®, un dispositivo robotico end-effector) dell’arto superiore in esiti di stroke.
Lo studio oggetto della mia tesi di laurea si colloca nel contesto di uno studio clinico multicentrico, sperimentale, prospettico, randomizzato e in aperto, mirato a verificare se l’utilizzo di un dispositivo robotico end-effector a due gradi di libertà su pazienti emiplegici/emiparetici in fase subacuta in seguito ad un evento ictale (ischemico o emorragico), può avere un’efficacia terapeutica equivalente al trattamento riabilitativo di fisioterapia convenzionale e, nel caso, quali benefici può apportare.
MOTORE®, acronimo di “Mobile roboT for upper limb neurOrtho REhabilitation”, è stato sviluppato da Humanware S.r.l. (una azienda spin off della Università “Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa”) in collaborazione con il Laboratorio di robotica percettiva dell’Istituto TeCIP (Tecnologie della Comunicazione, dell’Informazione, della Percezione) della stessa Università.
MOTORE® è un’interfaccia aptica (cioè un dispositivo che agisce direttamente con l’operatore umano e che ha la funzione di indurre in questo la percezione di un feedback di forza) portatile che, basato su un innovativo sistema meccatronico, è in grado di assistere i pazienti nel recupero funzionale dell’arto superiore a seguito di traumi neurologici e ortopedici, favorendo la riabilitazione neuromotoria, la riabilitazione post-ictus e il recupero cognitivo10.
Per il suo utilizzo, il dispositivo necessita di tre principali componenti: il dispositivo aptico portatile MOTORE®, un tavolo su cui esso poggia e un Personal Computer dedicato, che è collegato agli altri componenti via “bluetooth” con comunicazioni bidirezionali. MOTORE® riceve tramite bluetooth i segnali iniziali e gli aggiornamenti delle informazioni sulla posizione assoluta del robot durante il movimento e, contemporaneamente, invia le informazioni relative al punteggio dell’esercizio riabilitativo10,11,13.
Il software del dispositivo è in grado di interagire con le azioni che il paziente esercita per portare a termine l’esercizio o il programma riabilitativo proposti dal fisioterapista, stimolando e correggendo i movimenti trasmessi dal paziente e registrando in ogni seduta una molteplicità di parametri (posizione dell’arto, direzioni, rotazioni, spostamenti, velocità, forze, accelerazioni, …) in modo da poter valutare i progressi del recupero10,11. MOTORE® aiuta e asseconda i movimenti del paziente quando essi seguono la direzione prescritta dall’esercizio, ma li ostacola nel caso in cui il paziente tenda a muoversi in direzione errata, esercitando una resistenza variabile con la distanza dalla traiettoria ideale, tendendo a riportare il paziente sulla traiettoria corretta. Se il paziente non riesce a seguire il movimento suggerito sullo schermo del computer, MOTORE® comincia a muoversi nella giusta direzione stimolando il paziente a continuare; di contro, qualora il paziente risulti in grado di seguire autonomamente la giusta traiettoria, MOTORE® smette di fornire qualsiasi aiuto10,12,13.
Nello studio che ho effettuato per la tesi, sono stati sono stati reclutati 21 pazienti dopo essere stati randomizzati e allocati al gruppo di trattamento di controllo FKT (12 pazienti) o al gruppo di trattamento sperimentale ROBOT (9 pazienti).
I pazienti hanno effettuato un ciclo riabilitativo quotidiano, per un numero totale di 20 sedute di 60 minuti ciascuna; dei 60 minuti di trattamento, 30 minuti hanno coinvolto tutti i distretti corporei (ad eccezione dell’arto superiore) e gli altri 30 minuti sono stati dedicati esclusivamente alla riabilitazione robotica o alla riabilitazione convenzionale dell’arto superiore. Le valutazioni cliniche dei pazienti sono state effettuate all’inizio (T0), al termine (T1) e a un mese dalla fine della terapia riabilitativa (T2) utilizzando dati anamnestici, scale cliniche standardizzate e parametri quantitativi ottenuti con il dispositivo robotico.
L’outcome primario dello studio è costituito dalla riduzione del livello di compromissione dell’arto superiore nel gruppo ROBOT sovrapponibile a quello ottenuto nel gruppo FKT, misurabile con un aumento del punteggio ottenuto con la scala Fugl-Meyer. Gli eventuali incrementi/decrementi dei punteggi rilevati somministrando le ulteriori scale cliniche (MBI, B&B, FIM, MRC, NRS) e dei parametri misurati dal dispositivo robotico, rappresentano l’outcome secondario.
Raccolti i dati, è stata condotta l’analisi statistica “entro gruppi” e “tra gruppi”.
Entrambe le tipologie di trattamento hanno permesso di ottenere miglioramenti, in particolare tra T1 e T0 e tra T2 e T0; non ci sono state invece sostanziali modifiche né in negativo né in positivo tra T2 e T1. Inoltre le due tipologie di trattamento si sono rivelate simili, con leggere variazioni a seconda del parametro valutato: MBI mostra risultati significativi a favore del gruppo FKT, mentre B&B e un parametro valutato da MOTORE®, ovvero la precisione del lavoro del paziente durante le valutazioni e gli esercizi, risultano essere significativi a favore del gruppo ROBOT. La Fugl-Meyer mostra miglioramenti, non statisticamente significativi, in entrambi i gruppi. Le altre scale di valutazione mostrano miglioramenti leggermente più ampi nel gruppo sperimentale.
Il maggior limite dello studio consisteva nella ridotta dimensione del campione a disposizione; da ciò derivano la bassa potenza dei test statistici e anche il mancato bilanciamento delle caratteristiche intrinseche nei due gruppi di trattamento.
Analizzando i dati ottenuti, è possibile affermare che entrambi i trattamenti riabilitativi offerti ai pazienti non solo sono risultati efficaci, ma, nel breve periodo indagato, sono stati anche in grado di garantire un mantenimento delle capacità motorie acquisite in seguito al periodo riabilitativo. Tali risultati non consentono però di esprimere un giudizio definitivo a riguardo della equivalenza riabilitativa tra FKT e ROBOT, ma si può affermare che l’applicazione della robotica in riabilitazione può essere considerata uno strumento aggiuntivo a disposizione del professionista della riabilitazione, che in ogni caso non può e non deve sostituire la fondamentale figura del fisioterapista.
Ho trovato utile l’utilizzo di un dispositivo robotico, in particolare perché ha permesso di fornire dati di valutazione quantitativi e assolutamente oggettivi; inoltre è stato possibile verificare i cambiamenti delle performance del paziente di seduta in seduta, sempre in modo oggettivo, in quanto il robot registrava i risultati relativi ad ogni singolo esercizio.
La maggior parte dei pazienti che ha utilizzato il robot (età media di 72.2 anni) ne ha gradito l’utilizzo, affermando che gli scenari grafici e i feedback visivi e cinestesici hanno contribuito a coinvolgerlo e catturarne l’attenzione; questo è un aspetto che ritengo importante, perché un buon livello di compliance da parte del paziente nei confronti dell’intervento riabilitativo ne può influenzare positivamente la riuscita. Ci sono state comunque 2 eccezioni su 9 pazienti, che hanno definito noioso il trattamento robotico.
Come già esposto in precedenza, i vantaggi della robotica che inoltre ho potuto apprezzare sono stati la possibilità di intensificare le ore di trattamento e la possibilità di personalizzare gli esercizi (quindi il trattamento robotico) disponibili sul dispositivo in relazione alle caratteristiche personali, alle necessità, allo stadio di malattia e alla preferenza personale del paziente, al fine di rendere la terapia riabilitativa il più possibile compito-specifica e adattarla al contesto di vita quotidiana del paziente. Si è rivelata invece utile in alcuni casi (ad esempio per le valutazioni) la possibilità di impostare un protocollo standardizzato e uguale per tutti, con limiti, parametri, movimenti possibili ben definiti e controllati dal dispositivo.
I feedback scambiati tra il paziente e il robot si sono rivelati supporti capaci di incrementare e mantenere il livello di partecipazione e coinvolgimento da parte del paziente durante la seduta riabilitativa.
Le nuove tecnologie possono contribuire quindi a rendere più efficiente e veloce la seduta riabilitativa, garantendone la personalizzazione e specificità e la sicurezza, grazie ai meccanismi di supervisione insiti nei dispositivi robotici e al continuo monitoraggio del fisioterapista, che rimane l’unico responsabile della scelta dell’utilizzo di un dispositivo robotico come potenziale benefico per il paziente e dell’outcome post-riabilitativo.
In generale la riabilitazione robotica risulta ancora non accessibile a tutti, poiché, a causa dei prezzi che sono molto elevati, non è vantaggioso per una struttura ospedaliera o per i privati acquistare o affittare dei dispositivi robotici che attualmente sono in evoluzione.
Un aspetto che ho trovato, almeno inizialmente, critico nell’utilizzo di dispositivi robotici, è stato quello relativo al fatto che spesso sono dispositivi altamente dedicati e specifici per singole o poche articolazioni e movimenti di esse (in particolare i dispositivi end-effector) a causa della complessità strutturale, biomeccanica e tecnologica della maggior parte di questi strumenti.
Quindi il tipo di approccio riabilitativo robot-assistito risulta essere in generale più selettivo e meno globale rispetto alla fisioterapia convenzionale. Devo però anche specificare che nella mia esperienza con il dispositivo robotico MOTORE®, progettato per eseguire movimenti solo sul piano orizzontale e per agire in modo diretto solo sulle articolazioni di spalla (abduzione e adduzione sul piano orizzontale) e gomito (flessione ed estensione), questo che a priori poteva essere considerato un limite nell’utilizzo del dispositivo, non ha avuto conseguenze negative sull’outcome motorio post-riabilitativo nei pazienti che sono stati sottoposti al trattamento robotico. Infatti, essi hanno avuto un recupero motorio non solo alle articolazioni prossimali dell’arto superiore, ma anche a quelle distali, soddisfacente tanto quanto quello ottenuto dai pazienti sottoposti al ciclo riabilitativo di fisioterapia convenzionale.
Per motivare i risultati ottenuti sui segmenti distali dell’arto superiore, oltre a tenere in considerazione il recupero fisiologico più o meno ampio in seguito a un evento ictale, si può ipotizzare che migliorare il controllo motorio e la stabilizzazione delle articolazioni prossimali dell’arto superiore (spalla e gomito), conduca a uno sviluppo delle capacità motorie anche delle articolazioni distali dell’arto superiore (polso, mano e dita), nonostante non si agisca in modo diretto su questi segmenti corporei.
In generale l’approccio robotico con dispositivi end-effector può essere considerato un approccio riabilitativo più selettivo e dedicato a singoli distretti e movimenti, quindi da questo punto di vista più limitato, ma più preciso nella qualità e nella quantità di movimento concesso al paziente e ritenuto dal fisioterapista benefico per lui in quel determinato momento riabilitativo, rispetto ad un approccio di fisioterapia convenzionale, che invece si adatta meglio ad una riabilitazione più globale del paziente.
Occorre però specificare che l’applicazione della robotica in riabilitazione non è pensata per essere applicata isolatamente, ma come supporto alla fisioterapia convenzionale nel caso in cui il fisioterapista decidesse, in modo critico e responsabile, che un determinato ausilio robotico in una determinata fase riabilitativa possa essere benefico per il paziente; quindi sarebbe garantito in questo modo un approccio sia globale che più selettivo e preciso.
Può risultare difficoltoso valutare se e su quale paziente può essere utile un dispositivo robotico e, nel caso, saper scegliere quello più adatto al paziente e alla fase riabilitativa in cui si trova. La consapevolezza dell’amplissima gamma e modalità di prestazioni riabilitative offerte dalla robotica e dalle nuove tecnologie e la difficoltà nel conoscerle e nel saperle usare, mi ha portata a notare l’importanza e la contemporanea assenza di formazione specifica riguardo gli strumenti robotici sia nella teoria che nella pratica per i fisioterapisti, i quali si trovano a scegliere e ad approcciarsi a un dispositivo robotico di cui non conoscono completamente le potenzialità e che quindi non possono sfruttare e utilizzare al meglio.
Il terapista che si avvale dell’utilizzo di un dispositivo robotico, oltre a conoscere la robotica disponibile, è utile che impari a leggere e interpretare i dati numerici oggettivi registrati dal robot, in modo da poter definire e modificare al meglio, sulla base di queste informazioni, l’evolversi del programma riabilitativo scelto di cui è responsabile e garante.
Ad oggi ancora sono poche le strutture fornite di tecnologie all’avanguardia e i terapisti con una ampia esperienza nell’utilizzo di questi ancora devono essere formati, ma si prevede che nel prossimo futuro i dispositivi robotici non solo saranno accessibili a tutti a livello di costi di vendita o affitto, ma anche saranno sempre più utilizzati per supportare gli interventi di riabilitazione nei suoi numerosi campi di applicazione. Nel futuro più prossimo si potrà inoltre contare anche sull’ausilio di sistemi robotici e di teleriabilitazione, costantemente monitorati, per la riabilitazione domiciliare o come supporto ad essa.
La sfida che ci si pone ai fini di ottimizzare le prestazioni fornite ai nostri pazienti è molto interessante e complicata, ma nel contesto di un mondo che con ogni probabilità diverrà sempre più tecnologico, pare opportuno accogliere, con spirito critico e responsabile, quelli che sono gli aspetti positivi derivanti dall’innovazione e studiare preventivamente gli aspetti che si ipotizzano possano essere vantaggiosi in un futuro o eventualmente avere la possibilità di renderli tali sulla base di studi perseguiti nel tempo.
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Postato il 21 maggio 2019