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Ho la sensazione che il mondo degli ausili sia in forte sofferenza, per gli aspetti economici, politici e prescrittivi e senza dimenticare quelli motivazionali delle professioni coinvolte.
I Fisioterapisti rispondono sempre che hanno pochissimo tempo a disposizione e non possono seguire un iter di valutazione che sappiamo essere piuttosto lungo e complesso.
I Terapisti Occupazionali, hanno il compito di “scegliere ed ideare ortesi o ausili specifici e proporre modifiche dell’ambiente di vita” (…..omissis….Profilo professionale Terapista Occupazionale – 17 gennaio 1997 n. 136). Da qualche tempo accade di trovarli come referenti unici per i prescrittori e le Unità di Valutazione vengono ad essere monche di altre figure professionali.
A Milano, dove svolgo la mia attività, se si esclude l’Unità Spinale e il Servizio Domotica-Ausili-Terapia Occupazionale (DAT) della Fondazione Don Gnocchi, non ci sono strutture preposte a questo settore delicato per l’autonomia.
Le Aziende ortopediche, intuendo il business, assumono collaboratori Fisioterapisti e Terapisti Occupazionali, così dicono al “cliente” di offrire un progetto completo (…senza perdere d’occhio interessi e affari).
I familiari dei pazienti sono sempre più orientati ad assumere “una badante forte”, che possa supplire alle carenze di fornitura di ausili. Infatti le ASST tendono a fornire ad es. carrozzine di basso costo (ad es. le transito), che richiedono un accompagnatore nerboruto per “transitare” su marciapiedi con dislivelli, buche, e ..bontà degli automobilisti, auto parcheggiate.
Senza parlare dell’annoso e per lo più irrisolto problema delle barriere architettoniche. Molte case hanno gradini per accedere all’ascensore, semmai questo risulti abbastanza grande. L’abbattimento delle barriere architettoniche è subordinato al parere dei condomini e le spese a carico del disabile che, solo dopo, riceverà il rimborso.
Ho in mente molti pazienti “segregati” in casa, che rinunciano persino ad esercitare il diritto al voto. Certo che poi fanno notizia i Volontari che portano i pazienti a braccia per 5 piani perché possano votare….Forse è più facile che la voce del Cittadino venga ascoltata dai Volontari che non dalle Istituzioni che, sì predispongono il servizio di seggio volante….con un iter burocratico che scoraggerebbe chiunque.
Tutto questo disincentiva sempre più le uscite dei pazienti e conferma ai prescrittori che “certi ausili costosi non servono”.
Mi sembra di capire che la “liberalizzazione” della disabilità a parole abbia portato a uno stop sul piano reale.
Molte belle parole ma pochi fatti, insomma. Una accresciuta sensibilizzazione che si disperde in messaggi su facebook, nella proliferazione di Associazioni sempre più capillari e parcellizzate che difficilmente approdano a risultati di qualche spessore e che si sentono forti di piccole settoriali vittorie.
Tristemente penso che per fortuna c’è la Magistratura, che quando ci sono gli estremi interviene a sanare comportamenti non conformi alla legge. Come, qualche mese fa, l’insulto di un cittadino, che avendo occupato il posteggio di un cittadino disabile, lo ha insultato, dopo essere stato giustamente multato, appendendo, nel parcheggio a lui riservato, un cartello sgrammaticato e offensivo.
In mezzo a tutto questo, vedo la vita della persona disabile come un lungo e difficile trekking di sopravvivenza, intriso di svilimento quando vengono portati alla luce (forse ad arte dai media, viste le scadenze regolari di apparizione delle notizie) casi di falsi invalidi.
Ancora di più mi sorprendono dolorosamente le affermazioni di politici, piccoli e grandi, di limitare le forniture…perchè chi vuole qualcosa di più se lo può pagare….supponendo che la disabilità sia uno stato sociale che arricchisca e dando per scontato che lo Stato non possa far continuamente fronte alle richieste dei disabili.
Qualche tempo fa mi ha colpito l’idea di una Collega di portare in teatro “storie di disabilità”.
Questa Collega lotta ogni giorno con il prescrittore della sua ASST per far avere ai suoi pazienti le dotazioni minime prescrivibili e pensa di “sublimare” il problema portandolo a teatro…Un approccio sensibilizzante, che deve essere supportato da azioni concrete. Portarlo a teatro non deve essere una specie di assoluzione per fermarsi davanti agli ostacoli del prescrittore che, nonostante sia stato relazionato sulle particolari esigenze del paziente e della famiglia, si risolve a prescrivere lo standard minimo.
Ecco il punto…costruire con Colleghi che sono “sul fronte”, la competenza necessaria per confutare le banalità che spesso sentiamo a proposito dei bisogni.
E’ solo la competenza di ogni componente l’équipe a fornirci strumenti idonei per sostenere le richieste supportate da una valutazione professionale.
Assumerci la nostra responsabilità professionale è un buon punto di partenza.
Postato il 28 ottobre 2018