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Il Fisioterapista e la Terapia Occupazionale (di Romualdo Carini, Fisioterapista e Giornalista Pubblicista – Responsabile Blog)

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Qualche tempo fa, su Facebook, in un Gruppo di Fisioterapia, è stato pubblicato il post di un Collega che chiedeva, a qualche Terapista Occupazionale (TO), eventualmente presente nel Gruppo, di segnalargli riferimenti bibliografici in tema di terapia occupazionale.

Voleva documentarsi al riguardo, in quanto gli era stato dato da trattare, dalla sua Responsabile, un paziente che ne aveva necessità e questo nonostante lui fosse un Fisioterapista (FT); era stato addirittura presentato al paziente come Terapista Occupazionale, comportamento indubbiamente poco corretto.

Richiesta che ha subito innescato una girandola di commenti, girandola a cui hanno partecipato TO e FT, che, ignorando completamente la richiesta del Collega, hanno da subito spostato il discorso sulla legittimità o non legittimità che un Fisioterapista possa impiegare, nell’esercizio della sua professione, la Terapia Occupazionale.

Sostanzialmente, i TO che hanno partecipato alla discussione, ma anche  diversi FT, sostenevano che il Fisioterapista che utilizza, nel “Progetto Riabilitativo Individuale” di un proprio paziente, la Terapia Occupazionale, commette un “abuso professionale”, “pretende di fare cose che non sono di nostra competenza”, “si spaccia per un’altra figura professionale ed è un illecito”, “esercita una professione sanitaria senza essere iscritto all’apposito Albo” e “amenità” (benevolo eufemismo) equivalenti.

Simili gratuite valutazioni, veri e propri “verdetti di colpevolezza”, senza documentate prove a carico, mi hanno lasciato francamente perplesso, soprattutto se emessi da Colleghi e mi hanno spinto, al momento, ad intervenire nella discussione.

Ora, con questo articolo, dopo essermi ulteriormente documentato e aver riordinato le idee, intendo tornare sulla questione.

Riguardo l’argomento del contendere, “Il Fisioterapista e la Terapia Occupazionale”, a me risultano esserci determinate evidenze e, conseguentemente, di poter arrivare ad alcune conclusioni, disponibile però a ricredermi, di fronte a documentate evidenze contrarie (e per questo motivo l’articolo viene pubblicato anche nella Rubrica TAVOLE ROTONDE)).

1 – Cosa sta scritto nel Profilo Professionale del Fisioterapista

…nell’ambito delle proprie competenze, il fisioterapista:

– all’art. 2 comma b) sta scritto che il Fisioterapista “pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive utilizzando TERAPIE fisiche, manuali, massoterapiche e OCCUPAZIONALI”;

– all’art. 2 comma c) sta scritto che “propone l’adozione di protesi ed ausili, ne addestra all’uso e ne verifica l’efficacia”;

– all’art. 4 sta scritto che “Il fisioterapista, attraverso la formazione complementare, integra la formazione di base con indirizzi di specializzazione nel settore della psicomotricità e della TERAPIA OCCUPAZIONALE”;

– più specificatamente al comma b) di tale articolo 4 sta scritto che “la specializzazione in TERAPIA OCCUPAZIONALE consente al fisioterapista di operare anche nella traduzione funzionale della motricità residua, al fine dello sviluppo di compensi funzionali alla disabilità, con particolare riguardo all’addestramento per conseguire l’autonomia nella vita quotidiana, di relazione (studio-lavoro-tempo libero), anche ai fini dell’utilizzo di vari tipi di ausili in dotazione alla persona o all’ambiente.

Inoltre:

– all’art. 2 del Decreto di Equipollenza del Terapista Occupazionale (27 luglio 2000), si prevede, a determinate condizioni, la possibilità, per il Terapista della Riabilitazione/Fisioterapista, di optare per il riconoscimento del predetto Diploma.

Secondo quindi quanto normato dal Profilo Professionale del Fisioterapista, credo sia chiaro come la Terapia Occupazionale faccia parte, come “formazione di base” delle TERAPIE a sua disposizione per l’esercizio della sua attività e che possa addirittura specializzarsi in essa attraverso una “formazione complementare”.

2 – Chi è l’abusivo?

Affermare, come sostiene qualche TO (ma anche qualche FT), che se un Fisioterapista usa la terapia occupazionale con un proprio paziente, commette reato di “abusivismo professionale”, mi sembra quindi più che mai una delle “amenità” (eufemismo) a cui facevo riferimento all’inizio di questo scritto.

Profili Professionali alla mano, a me sembra che invece possa accadere (come, secondo molti effettivamente accade) il contrario: è più facile che commetta reato di “abusivismo professionale” il TO che si mette a fare il Fisioterapista.

Se il Fisioterapista usa la terapia occupazionale, non si “sovrappone” abusivamente al TO, perchè, come credo ampiamente documentato al punto 1), si serve di una tecnica che normativamente gli compete; ma non può certamente dirsi altrettanto se un TO si mette a fare fisioterapia, perchè le “terapie fisiche, manuali, massoterapiche” normativamente di competenza del Fisioterapista non sono per nulla citate nel suo Profilo e se il TO le utilizza lo fa abusivamente.

Il tanto deplorato “sovrapporsi” del Fisioterapista al TO non può, a mio giudizio, essere quindi considerato e condannato come un illecito, ma una più che corretta e adeguata messa in atto del suo agire professionale con determinati pazienti che sta riabilitando.

3 – Parcellizzazione della riabilitazione?

Secondo una TO partecipante alla discussione “….il fisioterapista, tramite esercizi, lavora perché la persona stia in equilibrio o recuperi la stazione eretta, il terapista occupazionale si adopera perché la persona utilizzi quanto sta acquisendo nelle attività che preferisce o che ci si aspetta che faccia (mettere a posto l’armadio, raccogliere un oggetto da terra, etc)” e ancora “…io mi adopero perché la persona impari a vestirsi, il fisio fa sì che riacquisti le competenze motorie per poterlo fare”, per cui “…Ognuno di noi fa il suo pezzetto perché il paziente raggiunga l’obiettivo che abbiamo condiviso con lui in team”.

Mi sembra una visione alquanto antiquata e discutibile della riabilitazione. “Riabilitare prima il muscolo e poi l’azione?”…..come qualcuno ha giustamente osservato nella discussione.

La riabilitazione come una “catena di montaggio”? Come un “Sistema di produzione (la cura del paziente) costituito da un nastro, definito nastro trasportatore (il team riabilitativo), sul quale scorrono parti, componenti o semilavorati (gli interventi delle varie professioni sanitarie) secondo tempi prefissati e sincronizzati”? Avviene così il recupero della persona nella sua unità?

Se facessi parte, come fisioterapista, di questo “nastro trasportatore”, vorrebbe dire che, ad esempio, dopo aver recuperato o mantenuto le “capacità residue” (come spesso mi viene richiesto, dal medico prescrittore, nella riabilitazione al domicilio) di un paziente con emiparesi o sclerosi multipla o Parkinson, ed essere riuscito a fargli “recuperare la stazione eretta” (per mettere a posto l’armadio) o le “competenze motorie” (per potersi vestire), dovrei dire a lui, ma anche anche alla sua famiglia: “Bene, ora che riesci a stare in piedi e a muovere le braccia, rivolgiti ad un terapista occupazionale per farti insegnare quali azioni puoi compiere con la stenia, la coordinazione, l’equilibrio, i passaggi posturali che ti ho fatto recuperare, perchè da qui in poi aiutarti a riprendere, nella misura che ti è possibile, la tua Autonomia, cioè le tue Attività della Vita Quotidiana (AVQ), non rientra nelle mie competenze”? Devo fermarmi lì? E’ “illecito” da parte mia proseguire? Se ritengo adeguata e sufficiente la mia “formazione di base” al riguardo, prevista nel mio Profilo Professionale, perchè devo rinunciare?

Credo, con buona pace della sopraccitata TO, che siano ben pochi i fisioterapisti disponibili a far parte di un simile “nastro trasportatore” e non solo quelli chiamati ad intervenire al domicilio del paziente, ma anche quelli che operano in Aziende Sanitarie pubbliche o private, negli ospedali, nelle cliniche, nelle RSA. Credo che in questo modo considererebbero la loro mission professionale “amputata” (tanto per restare in argomento), incompleta, al limite…..inutile.

Per non parlare delle più che probabili aspettative deluse della famiglia e le critiche del medico prescrittore…….

4 – Trovare un Terapista Occupazionale

Ma anche partecipando alla “catena di montaggio” descritta, dopo l’intervento del fisioterapista non è realisticamente facile trovare un terapista occupazionale che subentri e continui il lavoro. Causa uno “stau quo” della loro professione a dir poco complicato.

Sul numero del 21 aprile scorso di quotidianosanita.it, è stata pubblicata una interessante intervista al dott. Francesco Della Gatta, Presidente della Commissione d’Albo Nazionale dei Terapisti Occupazionali, Commissione facente parte, insieme ad altre 18, dell’Ordine dei Tecnici Sanitari di Radiologia Medica e delle Professioni Sanitarie Tecniche della Riabilitazione e della Prevenzione (TSRM-PSTRP).

Dopo aver esaurientemente presentato la “mission” del TO, la sua collocazione a livello europeo e mondiale, la formazione universitaria di questa professione (formazione purtroppo carente, come del resto quella di tante altre professioni sanitarie), gli è stato chiesto se il numero dei Terapisti Occupazionali in Italia è conforme alla domanda sul territorio.

Apprendiamo così che “…mentre nella quasi totalità dei Paesi Europei la presenza di Terapisti Occupazionali è decisamente consistente, l’Italia con soli 4 Terapisti occupazionali ogni 100.000 abitanti si posiziona agli ultimi posti a fronte di Paesi quali, ad esempio, la Francia con 18, l’Inghilterra con 59, la Germania con 72, la Norvegia con 97, la Svezia con 116 e la Danimarca con 187”.

Apprendiamo così che “…. in Germania sono oltre 60 mila, nel Regno Unito 40 mila, in Danimarca 11 mila, in Belgio 12 mila… in Italia il numero supera di poco le 2000 unità”.

Apprendiamo così che “L’attuale disomogenea distribuzione geografica delle sedi formative ha influenzato anche la diversa numerosità di Terapisti Occupazionali nei vari territori. Regioni come la Campania, la Puglia o la Toscana, solo per citarne alcune, non hanno promosso l’attivazione di corsi di laurea o hanno lasciato alle università la libertà di decidere.”…..Per cui in queste Regioni probabilmente è ancora più difficile trovarne….

E allora? Se la presenza sul territorio di questi professionisti è quella descritta dal Presidente della loro Commissione d’Albo Nazionale, quante probabilità ha, il paziente di cui sopra, di trovarne, in tempi ragionevoli e in particolare a domicilio, qualcuno che gli insegni, intervenendo sul nostro “nastro trasportatore”, dopo il “semilavorato” del fisioterapista, “a mettere a posto l’armadio, raccogliere un oggetto da terra, etc”? Oppure a “imparare a vestirsi”?

A noi fisioterapisti occorre inevitabilmente prendere atto di questo stato di fatto e conseguentemente tenere presente solo “…l’individuazione ed il superamento del bisogno di salute del disabile” (come del resto richiesto dal nostro Profilo).

5 – Conclusioni

Credo non sia sfuggito, a chi ha letto queste considerazioni, che, rapportando il fisioterapista alla terapia occupazionale, non ho mai usato il termine “esercitare”, ma soltanto “impiegare”, “utilizzare”, “praticare”, “usare”.

Perchè “esercitare” significa “fare abitualmente, svolgere, esplicare un’attività” e quindi “esercitare” la terapia occupazionale significa “fare abitualmente” ciò che prevede il Profilo di questa Professione Sanitaria; ma per poterlo fare bisogna, in questo caso, essere in possesso di un requisito di studio adeguato (Laurea in TO o titolo equipollente) ed essere iscritti al relativo Albo all’interno dell’Ordine dei TSRM-PSTRP.

Il Fisioterapista che non è in possesso di tali requisiti, non ha quindi titolo per “esercitare” la professione di Terapista Occupazionale, ma, da quanto precedentemente esposto, ritengo abbia tutto il diritto (e il dovere, se richiesto dal Progetto Riabilitativo del paziente) di impiegarla, utilizzarla, praticarla secondo necessità, perchè normativamente autorizzato a farlo dal suo Profilo Professionale, che prevede per lui anche una formazione di base al riguardo, senza quindi commettere alcun “abuso professionale”, senza quindi “fare cose che non sono di sua competenza”, senza “spacciarsi per un’altra figura professionale”.

Purtroppo “Il sistema legislativo sanitario vigente non sempre inserisce il Terapista Occupazionale in tutti i percorsi di prevenzione, cura e riabilitazione, con la conseguente mancata appropriatezza e qualità delle prestazioni erogate, che dovrebbero essere di pertinenza del Terapista Occupazionale come da profilo previsto dal D.M. 136/97 (G.U: 24/05/1997)” afferma il dott. Francesco Della Gatta, Presidente della Commissione d’Albo Nazionale dei Terapisti Occupazionali nella sua intervista. Ma per fortuna in moltissimi casi non è detto che questo accada…senza naturalmente nulla togliere alla necessità di rispetto e collaborazione fra le due professioni.