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Il Mucchio selvaggio – “Il fisiatra e “la persona” (….come parlare di sesso)”, di Carlo Perfetti – già Direttore Scuola per Terapisti della Riabilitazione

 

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Tratto da “Riabilitazione Oggi” – Anno XIX – n.3 – Marzo 2002

..Il Mucchio selvaggio

mucchi selvaggi erano le discariche incontrollate

in cui si scaricava di tutto: rifiuti urbani, rifiuti industriali,

scorie tossiche, rifiuti ospedalieri…”

(S. Vassalli)

Caro Direttore,

qualche fisiatra, e tra i più presti­giosi, continua ad essere attratto dal vecchio hobby della ricerca, ad ogni costo, di un ruolo per questo tipo di medico, argomento che per anni ha rappresentato una palestra per la ora­toria dei nostri colleghi, con i risultati attualmente sotto gli occhi di tutti (ma se questa figura fosse davvero neces­saria, non ci sarebbe bisogno di conti­nuare questa querelle perpetua).

Sull’ultimo numero di “Riabilitazione Oggi”, ci prova Silvano Boccardi (1) che, con la sua esperienza e compe­tenza, sceglie in effetti una strada metodologicamente corretta, che con­siste nel definire in partenza cosa si intenda per riabilitazione, per poi ri­tagliare, all’interno di questa, lo spa­zio per le diverse professionalità, e fra queste quella del fisiatra.

La soluzione proposta, però, non definisce, anzi, rende infiniti i compiti della disciplina, fino a tratteggiare una riabilitazione onnipresente ed on­nipotente, e soprattutto onnicom­prensiva e, conseguentemente, un fi­siatra “adeguato” a queste premesse, cioè dalle competenze e dal sapere in­finito.

Il fisiatra boccardiano, infatti, deve “prendere in carico… la persona con tutti i suoi problemi, non solo medici e rieducativi, ma anche contestuali, personali e ambientali al fine di allar­gare i suoi campi di attività e di parte­cipazione”. Il fisiatra è necessario in quanto “rappresenta la figura in gra­do di interpretare le diverse esigenze della sempre più ampia categoria di disabili”. Tutto questo gli è possibile perché “è in grado di risolvere, o di tentare di risolvere (meno male!), i problemi della persona tenendo conto di tutti gli aspetti, compresi quelli u­mani e ambientali”. (corsivo e sottoli­neatura sono miei)

Più infinito di così!!!

L’ennesimo tentativo di giustificare l’esistenza del fisiatra condotto da Sil­vano Boccardi, rientra, a mio modo di vedere, nelle migliori tradizioni del “mucchismo”, cioè della tendenza che ha dato il titolo alla nostra Rubrica e che da sempre sta imperversando nel­la nostra disciplina.

La caratteristica più importante di questa tendenza, quasi quanto la teo­ria della “doppia verità” (2), è proprio quella di accatastare insieme, all’in­terno della riabilitazione, forse con l’intento di non scoraggiare eventuali nuove vocazioni, una serie di elementi eterogenei, di discutibile valore (vedi Vassalli 1989,3).

Credo che si possa mettere in di­scussione almeno che:

1. Un fisiatra come quello proposto non è attualmente in commercio.

2. Le capacità e le competenze che dovrebbe avere sono così tante, che non si sa bene quale scuola e/o quale corso, di che durata e severità, potreb­bero consentirne l’acquisizione in un periodo umanamente accettabile per un medico. Se poi tali capacità e com­petenze devono essere apprese “sul campo” (ma questo la lettera non lo dice), non si vede perché non potreb­be essere lo stesso fisioterapista ad ac­quisirle, visto che non rientrano che in piccola parte nel bagaglio tradizionale del medico

3. Se si ridimensiona ad un livello meno infinito il campo delle compe­tenze, la riabilitazione (o “medicina riabilitativa”, come qualcuno preferi­sce definirla) ha oggi il suo laureato, e con la possibilità di cinque anni di studio non si capisce perché non po­trebbe svolgere il suo lavoro, e la ri­cerca clinicamente rilevante ad esso connessa, con l’aiuto di ricercatori di base e di altri colleghi medici speciali­stici. (Questo non vuol dire, ovvia­mente, che l’attuale fisioterapista sia già in grado di svolgere e di sapere tutto quanto sarebbe necessario, e nemmeno che lo sarà con le scuole at­tuali… tutt’altro).

4. La necessità dell’esistenza del fi­siatra deve essere interpretata storica­mente, e può essere giustificata all’in­terno di un sistema sanitario giovane dal punto di vista riabilitativo, nel quale il terapista ha ancora bisogno di chi gli spezzi il pane della scienza e di chi lo controlli sul proprio lavoro, di chi, sostanzialmente, faccia da inter­mediario tra lui e gli altri clinici, come acutamente suggerisce Boccardi. Non è un caso, infatti, che nella lettera si alluda alla massiccia partecipazione al convegno a favore della esistenza del fisiatra dei rappresentanti di Paesi che non appaiono certo all’avanguardia della modernità riabilitativa: Corea, Cina, Hong Kong, Singapore, Malesia).

Questa “necessità di esistere” oggi non appare più così necessaria come all’epoca della approvazione della Legge del 1974, della cui nascita deve esser dato merito, e non poco, al Pro­fessor Boccardi, ma dalla quale, ironia dei destino, hanno avuto origine molti degli attuali problemi del fisiatra, non ultimi quelli connessi con la sua so­pravvivenza. Ma di questi abbiamo già parlato tante volte.

Ci sono però alcuni elementi nella lettera, che, adeguatamente analizza­ti, possono aiutarci a definire meglio le caratteristiche del “mucchismo” precedentemente accennato:

a) Il Professor Boccardi in tutto il suo scritto, all’interno delle compe­tenze del suo fisiatra, tutto teso a farsi carico della intera persona, non trova modo di dedicare un solo accenno né all’esercizio terapeutico, né alle scien­ze del recupero.

Come se un operatore potesse pen­sare di giocare un ruolo tanto impor­tante, nella programmazione e defini­zione della diagnosi e dei mezzi per guidare il recupero, senza conoscere, in maniera per lo meno approfondita, queste due componenti ineliminabili della sua disciplina.

Sarebbe come se qualcuno volesse sostenere la necessità della figura del cardiologo (cosa che in realtà nessuno sente la necessità di fare, proprio per­ché è data per scontata), senza dire che il suo compito è quello di occu­parsi del cuore e della cura delle sue malattie e che questo rappresenta la sua specificità professionale.

b) Ancora una volta un fisiatra fa riferimento alla “persona”, sostenendo che il suo ruolo è quello di garante dell’interesse rivolto alla “persona” e alla soluzione dei problemi della “persona”, compresi quelli “personali e ambientali”, da interpretare come derivati dal rapporto tra la persona e l’ambiente, inteso non solo fisica­mente.

C’è in realtà da domandarsi, e da domandare a Boccardi, se a lui risulta che gli studi e la mentalità acquisita dal fisiatra attraverso le sue frequen­tazioni scientifiche, siano davvero tali da consentire a questa figura (per lo meno a quella esistente), di provare un reale interesse riabilitativo verso qualcosa che vada più in là della con­trazione muscolare, della escursione articolare e addirittura di salire fino alla “persona” e ai suoi contesti.

Ammetterà lo stesso Boccardi che, sul piano teorico e pratico, le conquiste più recenti vanno poco più in là, forse, della tossina botulinica e della pompa al baclofen, tematiche che, da come vengono affrontate, non sem­brano coerenti con tanto sentito inte­resse verso la persona, ma piuttosto verso alcuni pezzi della macchina guasta.

Non credo che Boccardi se la senta di negare, che solo un vago accenno alla percezione, alla memoria, all’at­tenzione, al linguaggio, all’esperien­za, (fattori che rappresentano le cono­scenze di base per potersi occupare della persona, come possibili elementi di una teoria dei lavoro riabilitativo) faccia venire i brividi o il disgusto alla maggior parte dei colleghi fisiatri.

Ma allora come si può parlare di “interesse” nei confronti della persona e addirittura sostenere che questo “in­teresse” rappresenta la base per po­stulare l’indispensabilità del fisiatra?

Come si fa a pensare di prendersi cura dell’intera persona, e non solo dei suoi muscoli e delle sue ossa, se non si vogliono affrontare, ritenendo la cosa una inutile perdita di tempo e di denaro, i problemi della connessio­ne tra movimento, funzione e cogni­zione?

A meno che non si pensi che occu­parsi della persona significhi aiutarla a salite le scale (ma non ci sono già i boyscout?), a scegliere il pannolone giusto (ma non ci pensano già gli in­fermieri?), la struttura della abitazione (e gli assistenti sociali?), il colore della carrozzina da passeggio (ma non ci sono già gli stilisti?).

Forse, secondo Boccardi, prendersi cura della persona vuol dire coordina­re il lavoro di tutti questi operatori, ma, anche in questa accezione, piut­tosto riduttiva, ammettiamolo, non si capisce bene in nome di quali compe­tenze relative alla persona.

Caro Direttore, alcuni riabilitatori che fanno riferimento alla riabilitazio­ne cognitiva, stanno affrontando un percorso di studio (che hanno chiama­to “Vivere la conoscenza”, (4) diretto ad indagare il ruolo della esperienza cosciente e della consapevolezza all’interno dei processi di recupero, proponendoli come elementi signifi­cativi, sia per l’esercizio, che per la in­terpretazione della patologia del ma­lato. Credo che si tratti di argomenti in stretto rapporto con l’essere “perso­na” di quel disabile, attuale o poten­ziale, del quale il fisiatra dovrebbe oc­cuparsi.

Ecco, sarei curioso di sapere quanti fisiatri “secondo Boccardi” provano reale interesse per uno studio del ge­nere.

O non è forse vero, come dice lo slogan scelto per questo percorso di studio e riportato su di una maglietta commemorativa, che in riabilitazione, riprendendo una frase del filosofo D. Dennet (5), “parlare della mente è …. come parlare di sesso”? Occuparsi della mente viene visto cioè, come “un po’ imbarazzante, non dignitoso, for­se addirittura sconveniente”. Natural­mente la mente “esiste” potrebbe dire qualche fisiatra, “ma bisogna proprio parlarne?” (Dennet, 1993).

Ma se le cose stanno così, di quale persona, e in che modo, dovrebbe occuparsene il fisiatra boccardiano? Cosa intende quando parla di “inte­resse verso la persona” se da questo interesse restano fuori elementi così rilevanti?

Se si tratta di una persona alla qua­le ci si può rivolgere senza passare at­traverso la sua esperienza cosciente, i suoi processi cognitivi, la sua coscien­za e la sua mente, allora il riferimento alla persona non vale molto più della tossina botulinica, della pompa al ba­clofen, dei pannoloni e del colore delle carrozzine da passeggio.

Serve solo a far aumentare il volume del “mucchio selvaggio”.

BIBLIOGRAFIA

1. S. Boccardi: Il ruolo del fisiatra, 2002, Riab. Oggi, 29:26.

2. C. Perfetti: Ancora il mattone… 2002, Riab. Oggi,29:1

3. S. Vassalli:, Il neoitaliano, Zani­chelli, Bologna, 1989.

4. Vivere la conoscenza, documento preparatorio. ARS, Santorso, 2002.

5. D. Dennet: L’atteggiamento in­tenzionale, 1993, il Mulino, Bologna.

 

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Postato il 16 gennaio 2021