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Mi chiamo Francesca Mussini e sono una fisioterapista, uno dei fisioterapisti definiti “esperti” in riabilitazione respiratoria.
Vorrei condividere alcune riflessioni nate in seguito alla mia esperienza lavorativa che ha avuto inizio lo scorso anno, nel mese di aprile, con i pazienti colpiti da Covid19 che si sono rivolti, una volta guariti, al Centro di Riabilitazione in cui lavoro (una struttura pubblica in provincia di Livorno), per essere riabilitati dal punto di vista respiratorio, ma non solo.
Mi sono subito resa conto che un paziente guarito dal Covid e dimesso dai reparti per acuti è sì, guarito “clinicamente”, ma porta nel corpo e soprattutto nella propria anima ferite che ancora sanguinano e sanguineranno a lungo.
Un paziente guarito dal Covid porta con sè un pesante fardello. Non ha dimenticato la paura e l’angoscia che si provano nel non riuscire a respirare; il terrore al solo pensiero di morire soffocato. Non ha dimenticato la solitudine e la mancanza dei propri cari, la mancanza di una loro carezza e di una loro parola di conforto mentre era inchiodato su quel letto, pieno di tubi e chiuso dentro a quel casco o a quella maschera che gli copriva tutto il viso. Ha sperimentato come i giorni siano uguali alle notti in un susseguirsi di secondi, minuti e ore, in cui pensieri tossici fissano il terrore sempre più nel profondo dell’anima.
Queste persone reduci da una esperienza così devastante, prima di tornare a casa giungono da noi come “pazienti” per essere riabilitate, aiutate a tornare alla vita, una vita da persone “sane”.
Tutte le volte che entro nella stanza di degenza per la valutazione fisioterapica, percepisco forte e chiara la complessità e la drammaticità della loro storia dal modo in cui parlano, dal tono della voce, da come guardano oltre lo sguardo e da come respirano.
Sì, il respiro, proprio ciò che devo valutare, mi racconta molto di loro. Il modo che hanno questi pazienti di respirare è ciò che meglio rende visibili le cicatrici del loro faticoso percorso.
Un respiro rapido e superficiale mi parla della necessità impellente di prendere tante piccole “dosi di aria”, di ossigeno, di cui avevano tanto bisogno nei momenti più critici della malattia. Si capisce come il volersi riempire rapidamente di aria sia legato anche al voler colmare il vuoto lasciato dalle loro paure.
Mi appare chiaro come il mio raccogliere dati, la mia valutazione fisioterapica, debba venir dopo la prima e più importante azione: “rassicurare”.
Così cerco di ascoltare il mio paziente, di osservare ogni dettaglio e poi, parlando, di tranquillizzarlo, spiegandogli come io e lui da quel momento, dobbiamo prenderci per mano e iniziare insieme un cammino.
Saranno dei piccoli passi, non sempre facili, ma porteranno sicuramente alla mèta. Io e il paziente da quel momento formiamo una squadra e ”insieme” è la parola giusta. Non si migliora solo se lavora il fisioterapista, né se lavora solo il paziente, ma se uniamo le forze e lavoriamo insieme.
Il rapporto fisioterapista-paziente si fonda sulla reciproca fiducia e sull’affidarsi. Il fisioterapista guida il recupero e trova le strategie per farlo, ma è il paziente che si affida e insegna al fisioterapista come farlo al meglio.
La fisioterapia è riapprendimento e nel caso della fisioterapia respiratoria il compito è delicato: il paziente deve riapprendere a respirare nel modo corretto. Dentro a questo concetto c’è il mondo, fatto non solo di tecniche, ma anche di osservazione, ascolto, errori e cambi di direzione. Io non parlerei di “periodo di ricovero” ma di “cammino fatto insieme”.
Noi fisioterapisti non lavoriamo su protocolli ma su obiettivi cuciti addosso al paziente. Per raggiungere quegli obiettivi scegliamo una strategia personalizzata, cercando la più efficace per quella persona. Come per fare un vestito si prendono le misure e si disegna il modello, così farà il fisioterapista. Poi il modello viene imbastito e provato sul paziente, fatte le dovute modifiche e solo successivamente si procede alla cucitura.
E il nostro paziente? Il vestito sarà cucito alla perfezione se lui si farà prendere le misure, lo indosserà e darà dei suggerimenti, guidando il fisioterapista sulle eventuali modifiche da fare.
Queste sono le premesse di un cammino efficace, un cammino per reimparare a respirare nel modo giusto.
Man mano che lavoriamo insieme, mi accorgo che il respiro si calma, diventa più ampio di pari passo con la consapevolezza che il paziente ha delle proprie capacità. Il paziente nota i progressi, l’ansia diminuisce e si tranquillizza.
Tutte le potenzialità di recupero sono racchiuse in ogni persona che ha bisogno di riapprenderle. Il fisioterapista ha il compito di riuscire a farle emergere e indirizzarle nella giusta direzione. Siamo come Maestri di musica che fanno sì che l’alunno riesca a suonare una bella melodia.
E così il paziente ora respira bene, riesce a prendersi cura di sé, senza avere l’affanno; riesce ad essere autonomo e capisce che può ricominciare finalmente a vivere.
Compito di noi fisioterapisti è anche far sì che il paziente curi e mantenga le capacità riapprese senza averci vicino. Il paziente è più consapevole e ricorderà i consigli che gli abbiamo dato.
Io amo pensare che quando il paziente torna a casa e ci saluta, in effetti noi non lo lasciamo, perché rimaniamo nella sua memoria, nei suoi ricordi. Penso che il mio lavoro sia uno dei lavori più belli del mondo. Siamo dei maestri e i maestri insegnano qualcosa che rimarrà per sempre. Il maestro inoltre è una persona che dà agli altri e “dare” è una delle cose che hanno più senso, per me.
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Postato il 6 marzo 2021