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La recente Sentenza del Consiglio di Stato (4 gennaio 2021 n. 111) che mette finalmente la parola fine alla “querelle”, innescata ben 8 anni fa, dalla SIMFER e dal SIMMFIR, riguardo la possibilità, da parte del Fisioterapista, di operare, secondo proprie competenze, in farmacia, senza la presenza o il controllo del medico fisiatra, rischia di avere un effetto “deflagrante” nel nostro Settore.
La “chiave di lettura” del definitivo pronunciamento dei Giudici di Palazzo Spada sulla questione, la ratio, il “boccone amaro” da ingoiare (con relative inevitabili conseguenze), da parte di chi ha presentato prima ricorso al TAR Lazio e poi al Consiglio di Stato contro il D.lgs 3 ottobre 2009 n. 153, vedendoseli ambedue respinti, è infatti rappresentata dalla seguente massima, contenuta a suo tempo nella sentenza del TAR e confermata ora dal Consiglio di Stato: “…Contestano all’impugnato decreto la violazione di asseriti diritti dello specialista (in medicina fisica e riabilitativa, il fisiatra – NdR), ma non indicano le norme che detto diritto avrebbero consacrato, per la semplice ragione che non esistono. Non esiste infatti una norma che imponga al fisioterapista, allorché eroga prestazioni rientranti nella propria competenza, di agire alla presenza o quantomeno sotto il controllo dello specialista” (Sentenza TAR Lazio pag. 8)
E come se non bastasse, i Giudici hanno anche bacchettato l’ostentata tracotanza dei ricorrenti, che, nel loro ricorso al TAR Lazio, pare abbiano addirittura lamentato il fatto che nel D.lgs in questione, approfittando dell’occasione, non fossero stati introdotti, codificandoli, questi loro presunti diritti, “…richiedendo ad un atto amministrativo di sostituirsi in un compito che l’ordinamento vigente riserva alla legge”. Una pretesa senza fondamento, “ad professionem”.
E’ una sentenza storica per la nostra professione. Solo qualora ci fosse la necessità di un consulto specialistico il fisiatra può venire consultato, altrimenti basta il medico di medicina generale o altro specialista. La sentenza non fa altro che ribadire quanto scritto nel nostro Profilo Professionale: “…in riferimento alla diagnosi e alla prescrizione del medico..” “…in riferimento..” e non “su” e si parla di “medico”, non di “medico fisiatra”.
Questa Sentenza può aprire enormi possibilità per l’attività del Fisioterapista sul Territorio, sia negli ospedali che in altre strutture sanitarie; rende giustizia al nostro Profilo e permette di applicare nel concreto l’art. 2 della Legge 251 del 2000: “Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area della riabilitazione svolgono con titolarità e autonomia professionale, nei confronti dei singoli individui e della collettività, attività dirette alla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione e a procedure di valutazione funzionale, al fine di espletare le competenze proprie previste dai relativi profili professionali”.
Per un ulteriore approfondimento e comprensione della sopracitata “chiave di lettura” di questa sentenza, si ripropone qui un articolo del Collega Gianni Melotti, già pubblicato “a caldo”, sul numero 2 – marzo/aprile 2012 di “Riabilitazione Oggi”, subito dopo la pronuncia del TAR del Lazio sulla questione.
Le considerazioni in esso contenute, pur risalendo a 9 anni fa, risultano essere più che mai attuali e propositive. Da tenere presenti sia per la Categoria che per chi ora, istituzionalmente, la rappresenta, la nostra Commissione Nazionale d’Albo.
Ft. Romualdo Carini
Fisioterapista e Giornalista Pubblicista
Responsabile Blog
Tratto da “Riabilitazione Oggi” – Anno XXIX n. 2 – marzo/aprile 2012 – pag. 1
Quando, ad ottobre 2010, dicevo che il mondo della fisiatria nostrana avrebbe mal digerito il Decreto che ci aprirà una nuova possibilità occupazionale nelle farmacie, fui facile profeta.
I soliti noti, infatti, si sono precipitati ad impugnare l’atto gravemente lesivo delle loro presunte prerogative e noi, ora, possiamo consolarci nel leggere la sentenza con la quale il Tar del Lazio ha respinto il loro ricorso.
Non pensate di trovarne traccia sul sito della Simfer. Anche loro, su questo argomento, si sono chiusi in un dignitoso silenzio, come fece il Buddha interrogato sull’esistenza di Dio.
Più “bastardi dentro” quelli di Riab.Info (Aperiodico d’informazione per fisioterapisti e professioni sanitarie di area riabilitativa, presente su FB, fondato e diretto dall’Autore – NdR), che intitolano la loro uscita del 25 febbraio, edizione nella quale riportano per intero la sentenza, con un sospettoso “Quei sani ceffoni”. Solo, però, uno sprovveduto lettore poteva essere indotto a pensare che fossero quelli “beccati” dalla Simfer in questa occasione.
Per comprendere il perchè, di un titolo così deciso, basta leggersi tutto, fino all’ultimo, l’articolo e l’arcano si svela da sè, ma va bene anche così. Comunque sia, con questo pezzo non intendo commentare la Sentenza del 20 febbraio n. 01704/2012, cosa questa che lascio ad altre e più preparate penne, ma vorrei darle un occhio con un taglio “fisioterapico”, nella speranza di scuotere una categoria pronta a sciropparsi di tutto ed incredula delle sue potenzialità.
Intendiamoci, almeno per noi, il Decreto contestato non diceva niente di nuovo. Sappiamo tutti, infatti, che “…in riferimento (e non “su”) prescrizione di un medico..”, in questo caso il medico di medicina generale, ma va bene anche il pediatra di libera scelta a noi spetta, come da Profilo:
a) la definizione del programma prestazionale per gli aspetti di propria competenza, volto alla prevenzione, all’individuazione ed al superamento del bisogno riabilitativo;
b) attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive e viscerali usando terapie manuali, massoterapiche ed occupazionali;
c) verifica delle rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.
Ma, tutto questo, per altro copiato di sana pianta dal nostro Profilo Professionale, deve essere suonato alquanto blasfemo alle orecchie di chi queste cose non le ha mai volute nemmeno sentire.
Per loro le farmacie si sarebbero trasformate in veri e propri poliambulatori, nei quali però è assente la loro figura, ritenuta indispensabile in tutti quei luoghi nei quali il Fisioterapista svolge la propria attività professionale, siano essi i locali della farmacia che, udite udite, la residenza di chi opta per una terapia domiciliare.
Anche in questa occasione non hanno mancato di suonare la grancassa dell’ “importanza che anche sul piano internazionale si riconosce alla (loro idea di – NdR) “riabilitazione” come strumento indispensabile per combattere la disabilità; al carattere interdisciplinare e multiprofessionale dell’area riabilitativa, che spinge la comunità scientifica a suggerire la creazione di un team al quale affidare il compito di predisporre progetti riabilitativi individuali, assegnandone la responsabilità ad un medico specialista in riabilitazione; al richiamo al ruolo centrale che si assegna conseguentemente al sanitario specializzato nella diagnosi e nella terapia del disabile”.
Insomma il solito filosofeggiare che, come un disco rotto, ci viene ripetuto da anni. Una solfa buona forse per l’assoluta imperizia di un qualche politicante in un qualche assessorato regionale, ma non sufficiente a cambiare le carte in tavola delle norme scritte dal Parlamento ed emanate con valore di legge.
Infatti, sul punto, il commento del Giudice è assolutamente netto e non lascia spazio alla fantasia, o alle libere interpretazioni, quando sostiene che i fisiatri “Contestano all’impugnato decreto la violazione di asseriti diritti dello specialista, ma non indicano le norme che detto diritto avrebbero consacrato, per la semplice ragione che non esistono. Non esiste infatti una norma che imponga al fisioterapista, allorchè eroga prestazioni rientranti nella propria competenza, di agire alla presenza o quanto meno sotto il controllo dello specialista”.
I Giudici poi, nel rimettere al medico generico la decisione sulla eventuale necessità dell’intervento dello specialista, prefigurano un sistema in cui il fisiatra stesso è figura solo eventuale di un percorso riabilitativo. Insomma, una gran bella sberla, ma che proprio non aggiunge nulla a quanto si sapeva almeno dal 1994, data nella quale è stato emanato il nostro Profilo Professionale.
O almeno da quando il giurista Luca Benci, tirandosi addosso le loro ire funeste, ci ha spiegato che “nel nostro ordinamento giuridico non si riconosce alcuna centralità del fisiatra nel processo riabilitativo, neanche all’interno dello stesso mondo medico. Questo perché, nel nostro ordinamento, sono estremamente rari i casi di riconoscimento esplicito di atto medico specialistico. Si rinvengono in alcuni settori molto particolari, quali la radiologia, l’anestesia (anche se non tutta), la medicina del lavoro. La Riabilitazione non è un’area medico-specialistica da un punto di vista giuridico e di conseguenza l’attività prescrittiva può essere posta in essere da qualunque medico. Inoltre, ogni professionista risponde dei propri errori causativi di danno. In conclusione, il quadro normativo dell’attività del fisioterapista è un quadro di forte autonomia, come lo è anche quello delle altre professioni sanitarie non mediche della riabilitazione, che dovrebbero subire la “centralità” del fisiatra nella sua “Squadra”. Tale quadro non lo pone alle dipendenze di alcuno, né alla verifica o al controllo di altri professionisti. E’ un quadro che sposa l’attività tra pari e disegna una organizzazione del lavoro di équipe con i pariordinati a confrontarsi tra di loro”.
Ma non è finita qui, perchè, per il Giudice, la “ratio” del decreto sulle farmacie “non può essere messa in discussione solo per assicurare nuove occasioni di lavoro allo specialista della riabilitazione”. Una riforma che “è stata voluta non solo per facilitare il ricorso alle prestazioni sanitarie da parte dell’utente ma anche, e in larga misura, come strumento che dovrebbe consentire una notevole riduzione della spesa sanitaria in ragione dei minori costi del servizio farmaceutico rispetto a quello degli ambulatori e dei gabinetti di analisi”.
I fisiatri hanno provato a far valere le loro ragioni citando anche la contestata Sentenza del Tar Piemonte, che addirittura li infila nei nostri studi libero-professionali, ma le sorprese non sono mancate e non è detto che quanto asserisce ora il Tar del Lazio non suoni come una campana a morto anche sulla decisione presa a Torino. Infatti, in sentenza, si sostiene che i fisiatri nel loro intervento hanno sollevato problematiche del tutto ininfluenti, frutto di una non corretta interpretazione di fatti e documenti, perché “nessun rapporto alla loro pretesa offre infatti la richiamata sentenza del Tar Piemonte, atteso che la stessa, quando sottolinea la necessità di un coordinamento fra il fisioterapista e il “medico di riferimento”, identifica quest’ultimo nel medico che ha effettuato “la diagnosi del paziente” e che ha dettato “le prescrizioni idonee alla cura”, e quindi anche il medico di base che non ha ritenuto di affidare il paziente, che a lui si era rivolto, ad uno specialista, ma ha provveduto personalmente sia formulare la diagnosi che a definire la terapia”.
Insomma, diamoci una mossa, svegliamoci, perché “le considerazioni fin qui svolte sono sufficienti anche a smentire l’asserita incoerenza e illogicità (da loro sostenute – NdR) di un sistema che da una parte prevede che sia il medico generico a prescrivere la prestazione e dall’altro prevede che sia il fisioterapista a definire il programma prestazionale”. “Si è già detto e dimostrato che l’intervento del fisioterapista è consentito entro i limiti inderogabili stabiliti per la sua competenza”. PAROLA DI GIUDICE, SVEGLIATEVI!
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Centralità del medico fisiatra: “…ruolo aggiuntivo, costruito talvolta artificiosamente in modo surrettizio…” – L. BENCI – “Riabilitazione Oggi” – Anno XXIX – n. 2 Marzo/Aprile 2012 – pag. 1
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Postato il 25 febbraio 2021